Walter Valentini e gli ex libris
Giuseppe Cauti | Il Ponte rosso N° 22 | marzo 2017 | mostre in regione
“Aurea sectio librorum“, alla BSI un’originale e raffinata mostra di ex libris, l’intera produzione del maestro di grafica e incisione
L’ex libris antico, segno del libro e quello moderno, segno dell’uomo
di Giuseppe Cauti
Gli ex libris hanno remota origine: foglietti a stampa da matrici xilografiche o calcografiche, riportavano dopo la dizione ex libris il nome del proprietario del libro e venivano incollati sulla prima guardia interna, connotando i preziosi testi di biblioteche pubbliche o private ed attestandone il possesso.
A partire dal Cinquecento – uno dei primi ex libris venne addirittura inciso da Dürer – vista la rarità dei libri, costituirono simboli, prevalentemente araldici, di censo e potere culturale ed economico, seguendo nel passare dei secoli l’evoluzione dei movimenti d’arte e di pensiero, appropriandosi e nobilitandone i contenuti teorici e le risultanze figurative.
Conseguentemente, un’indagine temporalmente estesa sull’ex libris diventa una panoramica sulla storia dell’incisione nei secoli; il piccolo foglio, anche se di ridotte dimensioni, è veramente un genere di arte grafica, la cui evoluzione storico-estetico-figurativa può essere trattata parallelamente, con utilizzo di moduli e codificazioni convenzionali degli studiosi d’Arte, tanto da definirli, con le usuali schematizzazioni tipologiche, classici, romantici, espressionisti, liberty, novecentisti, astratti e così via.
Quanto ai contenuti iconici delle microstrutture di rappresentazione visuale, per alcuni secoli le matrici dell’ex libris, seppure oggetto di profonde variazioni estetiche e funzionali, sono state strettamente connaturate alla originaria araldica affermazione di possesso, identificando sostanzialmente l’ex libris – per intenderci antico – quale segno del libro.
Verso la fine dell’Ottocento, auspici le profonde mutazioni indotte nel costume dalla Rivoluzione francese e dai suoi epigoni, nacque l’ex libris moderno, non più soltanto elitario segno di possesso del libro, o dell’avere, ma anche simbolo dell’essere di un Uomo colto, consapevole delle molteplici libertà espressive, esistenziali, tematiche, tipiche della innovatrice cultura decadente.
Scintillante punto d’arrivo del pensiero, il decadentismo rivelò la Bellezza (e l’Orrore) della vita interiore, vividamente rappresentandola in forme eclatanti e sconcertanti, alla maniera, tanto per intenderci, di Gabriele D’Annunzio; da pescarese dannunzista, sostengo che proprio il Poeta, i cui segni personali sono stati firmati dei più significativi incisori dell’epoca, da Sartorio a De Karolis e Fingesten, può essere considerato il principale re-inventore e promotore dell’ex libris moderno, nei definitivi termini di segno dell’uomo, metafora visuale degli inscindibili nessi tra l’uomo, il libro, l’arte, la letteratura.
Nel primo Novecento, l’ex libris ebbe un’eccezionale fioritura, anche per merito di importanti pittori e incisori; cito esemplificativamente Max Klinger, Josef Váchal, Alexandre de Riquer, Ferdinand Staeger, Gregor Rabinovitch, Michel Fingesten e fra gli italiani, Alberto Martini, Raoul Dal Molin Ferenzona, Antonio Rubino, Alberto Helios Gagliardo, Enrico Vannuccini, le cui opere destarono l’interesse di bibliofili, studiosi, critici, appassionati d’arte, favorendo la nascita di un settoriato collezionismo del particolare genere.
Devo alla scoperta, su una bancarella di via Prè a Genova, di questi cristalli magici (la visionaria definizione è, guarda caso, di Alberto Martini), una delle mie innumeri vite, quella da collezionista, il più giovane in un variegato mondo di autorevoli straordinari personaggi, soprattutto Gianni Mantero – indimenticato Mentore – e Ivan Matteo Lombardo, che hanno favorito la formazione di una sensibilità e di un gusto forse eccessivamente selettivi, tanto che, negli anni Novanta, dal momento che incisori di qualità – prescindendo da rare eccezioni – non prendevano in considerazione l’ex libris, ho smesso di collezionare, definendomi un ex-exlibrista.
Senonché, in occasione dell’esposizione nel Congresso Internazionale di Milano del 1994, mentre lanciavo distratte occhiate alle opere di artisti di tutto il mondo, il repentino guizzo di linee, spazi, forme, colori di due incisioni anepigrafe mi ha folgorato con vivide memorie, riconducibili solo a Walter Valentini, risvegliandomi desideri meno di accumulazione collezionistica che di approfondimento estetico dell’ex libris difficile, nell’ambito minore – solo dimensionale – della più grande Arte incisoria.
Questo risveglio costituiva la logica prosecuzione di datate ipotesi di lavoro di codificazione critica dell’ex libris, intraprese grazie all’organizzazione di concorsi internazionali (memorabile quello del Cinquantenario dannunziano del 1988, vinto dal cecoslovacco Albin Brunovský) e ai preziosi apporti di Rossana Bossaglia, Vito Salierno, Egisto Bragaglia, Enzo Pellai, Vincenzo Centorame, confortati per di più dall’insperato entusiasmo di Federico Zeri, che mi scrisse definendo l’ex libris “… un mondo meraviglioso”.
A felice coronamento di questo ritorno al passato, gli smanianti collezionisti Claudio Stacchi e Luigi Bergomi mi hanno coinvolto, nella rarefatta raccolta atmosfera d’epoca della Biblioteca Statale Isontina di Gorizia, in una mostra di ex libris di Valentini, facendomi rivivere lontane immersioni emozionali nello straordinario universo di questo poliedrico artista; per di più, l’altrettale e forse più – ovviamente smaniante – direttore di questo singolare ed incredibilmente coraggioso periodico mi ha chiesto, con disinvolta autorevolezza, “… poche righe” sull’ex libris e su Valentini.
Eccole! Confesso però di confidare parecchio sulle illustrazioni a corredo; un’indagine su queste piccole grandi opere, assolutamente compiute, non può prescindere da una preliminare analisi almeno elementare visuale, di questo particolare settore della poliedrica produzione dell’Artista.
Come definirla? Astrazione metafisica? Razionalismo astratto? Poetica dell’Infinito? Orribilmente riduttivi termini!
Dalla perfetta armonia delle molteplici matrici dell’immaginario di Valentini, memore delle architetture del Rinascimento, di Leon Battista Alberti, di Piero della Francesca, delle astronomie e cosmografie dell’universo, discendono, nella rappresentazione incisoria, singolari modalità operative; gli spazi ritmici, le lacune di complanarità, le linee interrotte, le fratture reali e simboliche, le tracce gestuali, i supporti materici, gli inserti di colore in funzione evocativa di stati d’animo evidenziano rigorose progettazioni e proiezioni visuali di percorsi talvolta labirintici ed impossibili, affascinanti metafore di una poetica, quasi di una etica procedimentale.
Ma allora, come codifico gli ex libris di Valentini? Non mi resta che l’ovvio disperato ricorso ad una elementare collocazione in una nelle due mega-categorie convenzionali del piccolo foglio: l’ex libris antico, segno del libro e quello moderno, segno dell’uomo.
Purtroppo, non solo è impossibile individuare negli ex libris di Valentini convenzioni figurative tradizionali indicative del quotidiano, della professione o delle predilezioni del collezionista, libri, strumenti musicali, attrezzature mediche, montagne, gatti, discinte donnine e via dicendo, ma non vi figurano nemmeno argomentazioni verbali, i cosiddetti motti, magari in latino, che giustificherebbero un interpretativo ricorso a probabilistici trasposti esistenziali; ne consegue che, per dovere di collezionista aspirante studioso della materia, sono costretto alla anomala e tautologica, seppur significante invenzione di una terza categoria exlibristica, incrementale dei segni del libro e dell’uomo: i segni di Walter Valentini.
Didascalia: Walter Valentini 1994