Vita di Philip Roth
aprile 2023 | biografie | Gabriella Ziani | Il Ponterosso N°91
Einaudi ha pubblicato una biografia di oltre mille pagine, scritte con l’assistenza del biografato
di Gabriella Ziani
Mille pagine di biografia. Alzi la mano chi si è cimentato con questo monumento a Philip Roth (magari in tanti, chi lo sa). Il volumone, Philip Roth. La biografia, compilato da Blake BaiIey nell’arco di dieci anni con l’assistenza diretta del biografato, edito da Einaudi con generoso apparato fotografico, è un fenomenale resoconto dei giorni e delle ore vissuti dall’autore di Lamento di Portnoy, di Pastorale americana, della trilogia con protagonista l’alter ego Zuckerman, e di un’altra lunga serie di romanzi che hanno innalzato l’oggi per molti “mitico” scrittore tra i massimi della letteratura americana, cui è mancato – per suo grande disappunto – solo il Nobel. Roth è venuto a mancare nel 2018, a 83 anni, dopo aver messo in mano al suo esperto scrittore-ombra tutto l’immenso archivio (centinaia di registrazioni, “chilometri “ di lettere, appunti, manoscritti, recensioni, articoli), con un solo scopo, evitare le incontrollabili biografie postume. Del resto, aveva anche scelto con cura il luogo della propria sepoltura, il tipo di cerimonia funebre, la lista degli ammessi al ricordo.
Le biografie sono un magnifico strumento di conoscenza, quando l’autore sia all’altezza. Ogni protagonista è il fulcro della propria epoca, e riattraversandola al suo fianco si illuminano per noi periodi e ambienti culturali, legami, vicende e retroscena che altrimenti non avrebbero terreno per diventare storia. Ma qui siamo di fronte a un’operazione eccentrica, che fa base su un “ego” complesso e forte, che solo mille pagine potevano contenere, per di più sorvegliate e supervisionate, e nutrite di documenti di prima mano, verificati con interviste e supporti cartacei (biografie di altri…): una scientificità di approccio che s’impone, l’unico che avrebbe potuto contestare i fatti descritti sarebbe stato il biografato medesimo, ma essendo nello stesso tempo fonte diretta e controllore dell’enciclopedico ritratto non lo fece e non l’avrebbe fatto.
E tuttavia ci si potrebbe chiedere, da non esperti di Roth, ma anche da appassionati fan, per quale motivo mai sarebbe da leggere un libro di proporzioni tolstojane che registra day by day che cosa il signor Roth ha detto e fatto dalla prima infanzia all’ultimo giorno. La prima risposta è ovvia: per sapere che cosa egli ha fatto day by day. Chi era veramente questo prolifico, eccentrico, dissacrante, fluviale, ironico e discutibile “numero uno”, che ha messo alla gogna la propria famiglia ebraica, gli ebrei americani in genere, sbattuto in pubblico affari sentimentali, ossessioni e dipendenze sessuali, e che in ognuno dei suoi trentuno romanzi nell’arco di 55 anni ha trascritto e universalizzato esperienze vive, a volte con scandalo di chi – soprattutto donne – andava a ritrovarsi ridipinto nelle sue pagine (Quando lei era buona, La mia vita di uomo, Ho sposato un comunista…). Fino alla autorappresentazione del proprio “doppio” in Operazione Shylock: una confessione. La grande pietas autobiografica è invece nell’intenso Patrimonio. Una storia vera, il day by day della malattia del padre, anni dopo la perdita della madre.
Di tutto questo, compresi la storia degli avi fuggiti in America dalla Galizia, le infinite relazioni sentimentali, il primo matrimonio con una manipolatrice che gli sconvolse la vita, il secondo che finì in un baratro di astio, i ricorrenti e gravi problemi di salute e l’acquisto e arredo di case, i milioni di dollari guadagnati e in fin di vita in parte regalati a istituti culturali, i figliastri e le figliastre assai accuditi e altrettanto d’ingombro, l’insegnamento universitario e i viaggi (Italia, Spagna, e soprattutto con impegno Israele), c’è simpatica abbondanza nelle mille pagine, per soddisfare ogni vorace curiosità, quasi per attingere a una simbiosi, tale è la full immersion in cui siamo accompagnati (e senza patire noia).
Ma non trattandosi di un pamphlet infarcito di chiacchiere da bar, e accettata la premessa che solo uno scrittore così autobiografico poteva ragionevolmente autobiografarsi in queste dimensioni, resta da capire se l’operazione abbia un senso più vasto rispetto al pur intrigante voyeurismo, che nel rapporto intimo tra scrittore e lettore ha comunque una connotazione per nulla volgare, anzi.
Sì, ci sono parecchie cose, che inquadrano decenni di politica editoriale, raccontano il formarsi e disfarsi dello scrittore di successo, il ruolo (ormai scomparso) delle riviste, il loro potere di pre-creare un caso letterario, o di rifiutarsi di farlo per un equilibrio strategico di ragioni. E, al nostro punto di vista (del qui e ora, cioè) rimane impressa l’articolazione geometricamente delineata della dinamica tra successo, vendite e critica. Roth fu uno scrittore in America sempre stroncato con durezza dai maggiori organi di stampa quotidiana e periodica, specializzata e no (nonostante una trentina di premi e onorificenze). A partire dal famoso Lamento di Portnoy (1969), che era un libro dirompente: irrideva con ferocia alle consuetudini e ai caratteri ebraici della sua stessa famiglia, genitori in prima linea, e sdoganava – in un prodotto comunque di alta gamma – la, per così dire, turpitudine sessuale. Triplice risultato. Il primo, vendite alle stelle, soldi a palate, autore riconosciuto per la strada, ilare identificazione Roth-Portnoy. Il secondo, una scatenata reazione da parte del mondo ebraico, per il quale mettere alla berlina gli ebrei americani equivaleva a calpestare i sei milioni di ebrei morti nei lager nazisti, dunque un sacrilegio. L’accusa di essere un ebreo antisemita che odiava gli ebrei lo inseguì per sempre. Una volta Roth sbottò: era forse colpa di Hitler anche quello che succedeva a casa sua?
La terza reazione fu una sorta di cortocircuito: il padre di Roth, Herman, che nonostante la scarsa cultura era diventato un solido professionista delle assicurazioni lavorando indefessamente, anziché adombrarsi per lo sfacciato (ancorché divertente) ludibrio in cui era stata buttata la sacra famiglia, fu smisuratamente orgoglioso del successo raggiunto dal suo brillante, giovane figliolo. Dimenticati i sarcasmi su padre e madre, e la svergognatezza di tutto quel “sesso ossessivo” poco adatto a un probo e religioso benpensante, durante un viaggio via nave in Europa portò con sé molte copie del volume, facendone omaggio ai casuali conoscenti con dedica del “padre dello scrittore”. La grande vittoria era preminente rispetto alle vittime che esponeva, e la luce dal figlio trasmigrava al padre, con un transfert denso di implicazioni, di riscatto per l’ebreo figlio di immigrato ebreo che era stato costretto dal malanimo dei non-ebrei a trasferirsi in un quartiere prettamente ebreo…
Ma a parte questo bestseller che, piaccia o no, rimane un pilastro nella bibliografia specifica e nella letteratura americana del ‘900, tutti i romanzi di Roth furono stroncati. Venne accusato di girare sempre attorno alle solite fissazioni, di antisemitismo e misoginia, di scarsa tempra morale, di noiosità, di invenzioni farlocche (Il seno), di non essersi rivelato all’altezza del primo vero debutto con Addio, Columbus e altri racconti (1959), che comunque già aveva suscitato fuochi e fiamme di protesta da parte dell’establishment ebraico, perché i “cattivi ebrei” di Roth erano entrati in scena fin da subito.
Infine nel marchingegno specifico che ha dato “ambiente” a uno scrittore come Roth c’è l’ampia rete di relazioni e amicizie, spalmate tra Usa e Inghilterra (dove per un periodo, frequentando l’attrice e poi moglie Claire Bloom, visse metà dell’anno). Un flusso di gente in continuo divenire, fra editori, editor, lettori, attori, altri scrittori. Così egocentrico, colto e autonomo, stupisce trovare Roth che consegna ogni nuovo manoscritto a cinque-sei persone di fiducia per un parere preventivo, e per ottenere osservazioni e correzioni di cui tenere conto con puntiglio. E che corregge le bozze anche sei volte, magari solo per aggiustare la musicalità di una frase.
Da ultimo, merita ricordare attraverso questo diario che dobbiamo a Philip Roth se Milan Kundera e altri scrittori cecoslovacchi sono stati tradotti in Occidente con la fama che ne è conseguita, e che sempre a lui si deve la riscoperta di un gigante fino ad allora dimenticato quale il galiziano Bruno Schulz (Le botteghe color cannella). Sbalordito dal valore di Schulz, ne fece conoscere il testo alla scrittrice e saggista ebrea Cynthia Ozick, che tanto se ne innamorò da scrivere nel 1987 Il messia di Stoccolma (tradotto da Garzanti nel 1991). Ammaliato da Kafka, Roth fece più viaggi a Praga, e in una circostanza si procurò un contatto con gli autori dissidenti, perseguitati dal regime filosovietico e costretti ai lavori più umili se non umilianti. Per i quali impegnò i propri amici scrittori, affinché versassero 50 dollari al mese adottando ciascuno un autore “di là”. Pericoloso e farraginoso il sistema di transito dei quattrini, mentre al contempo lo stesso Roth si dava da fare per il lancio negli Usa di traduzioni e collane specifiche, che in effetti decollarono.
Ma all’ennesimo viaggio a Praga fu fermato da agenti in borghese che probabilmente l’avrebbero ficcato in galera se non fosse riuscito a scappare come in un film di spionaggio. Roth si prese una paura coi fiocchi, saltò sul primo aereo per tornare a casa, e non avrebbe più messo piede a Praga per una quindicina di anni, fin dopo la caduta del Muro. In compenso gli scrittori dissidenti suoi protetti, ora che era stato smascherato il loro rapporto clandestino con l’americano, subirono dopo quell’agguato angherie personali e professionali di ogni genere. La coraggiosa azione aveva prodotto ritorsioni, e il bene s’era volto in male. Ma rimane l’esempio “esemplare” dell’impegno messo in campo dal ricco scrittore di fama internazionale che andava a rischiare dall’altra parte del suo mondo per passione civile e politica.
Sono solo pochi accenni, “introibo ad altare Dei”, poi bisogna proseguire di pagina in pagina, fino a farne mille. Volendo tagliare, non si saprebbe dove mettere le mani, l’intreccio è fitto, stratificato, gustoso, carico di umani cedimenti e sgradevolezze, insomma non puzza di agiografia. Un’ombra scura di scandalo avvolge inoltre lo stesso autore. Come si ricorderà, al momento dell’uscita del libro negli Stati Uniti Bailey fu accusato di molestie sessuali e la casa editrice Norton annullò la pubblicazione, di cui si fece poi carico la Skyhorse Publishing, la stessa che aveva accettato il memoriale di Woody Allen (a Roth altamente antipatico peraltro), portato in tribunale dall’ex compagna Mia Farrow con le degradanti accuse di aver molestato una loro piccola figlia adottiva.
Philip Roth. La biografia
a cura di Blake BaiIey
traduzione di Norman Gobetti
Einaudi, Torino 2022
- 1.056, euro 26,00