Traslazioni al Museo Carà di Muggia
Il Ponte rosso N° 18 | mostre in regione | ottobre 2016 | Walter Chiereghin
Il Museo d’Arte moderna Ugo Carà di Muggia si qualifica sempre più, tra gli spazi espositivi in mano pubblica, come un ambiente privilegiato per la promozione delle arti contemporanee in ambito giuliano. Questa volta, dal 14 ottobre al 6 novembre viene presentata al pubblico una doppia installazione, opera di due artisti che sono ormai parte essenziale del panorama artistico giuliano: Franco Vecchiet e Patrizia Bigarella, che si cimentano insieme nell’esplorazione di un ambito artistico che, già a prima vista, appare subito tale da porsi in sintonia con l’inesausta ricerca che caratterizza da anni la produzione di entrambi gli artisti e la loro ansia di trovare modalità espressive nuove, ulteriori tappe del procedere nel loro esaltante percorso creativo.
Questa loro esposizione muggesana, curata da Federica Luser, ha per titolo “Traslazioni” e proprio di questo si tratta: del trasferimento, materiale e funzionale, di singoli oggetti che vengono ri-collocati fuori contesto, ovvero in un diverso contesto, rispetto a quello per il quale sono stati progettati e costruiti, utilizzando una prassi ben nota in ambito artistico da almeno cent’anni, a partire dal movimento Dada e dalla celeberrima Fontana, di Marcel Duchamp, che nel 1917 aveva semplicemente rovesciato un orinatoio da parete rendendolo qualcosa di diverso, stravolgendone la natura col trasferirlo in un ambito differente da quello per il quale era stato originariamente pensato e facendolo poggiare su un piano orizzontale anziché ancorarlo a una parete verticale.
Perduto da tempo il carattere eversivo e dissacrante che la cosa aveva un secolo addietro, il processo messo in atto dai due artisti si concreta nell’isolare il pezzo, normalmente nel dipingerlo a squillanti colori primari, indi a riversalo in un altro contesto visuale che in precedenza non aveva mai avuto e infine collocarlo in una nuova destinazione.
Nella fattispecie quasi tutti gli oggetti così rielaborati provengono da scarti di officine meccaniche: si tratta di ingranaggi, molle, frizioni, bielle, pistoni, catene di distribuzione, bronzine, iniettori, filtri, valvole, guarnizioni, ventole, pompe ripuliti e riverniciati, collocati entro minuscole teche fissate alle pareti della sala d’esposizione a segnare le tappe di un percorso, uniti da un fil rouge (che è in effetti una riga blu) che conduce dapprima a un’area dove sono ammassati numerosi oggetti così trattati, recuperati – o, con termine sempre più attuale, riciclati – prima che il percorso suggerito si sdoppi lasciando spazio alle due individualità degli artisti, espresse, per ciascuno dei due, da una serie di piccole opere bidimensionali quadrate, collage o dipinti, che rimandano a un più esplicito riferimento all’attività pregressa e più riconoscibilmente personale del singolo artista. Conclude la complessa installazione una serie di originali calchi, ottenuti su supporto di carta normalmente destinata a fornire il supporto per opere grafiche, ammorbidita mediante vapore acqueo e sulla quale viene impresso il calco di una catena di distribuzione variamente disposta, fissata sul supporto cartaceo tramite il passaggio sotto i rulli del torchio.
Come si evince anche da questa non adeguata descrizione, quello che risulta alla fine del percorso è la percezione di aver vissuto, come in un gioco, un grande attimo di libertà, di averne goduto assieme a quelli che l’hanno evocata per noi, lasciandoci a contemplare il vertiginoso equilibrio tra memoria di quanto i singoli oggetti sono stati e fruizione di quanto è ora offerto alla nostra visione.