Sul “palcoscenico” della poesia
Enzo Santese | gennaio 2021 | Il Ponte rosso N° 64 | poesia
La forza introspettiva di Roberto Marino Masini
di Enzo Santese
I luoghi d’origine con la loro forza di suggestione incidono nella riflessione di autori che attingono motivi dalle forme, dai suoni, dai colori dell’esistente per un impulso metamorfico e dinamico a costruire su quegli spunti un’architettura ideale, capace di sintonizzare i ritmi del “paesaggio” interno con la realtà circostante. Per questo attivano anche la particolare capacità di porsi sulla medesima frequenza della parte più segreta degli interlocutori ideali e reali a cui si rivolgono, per conoscere le sequenze evolutive del loro pensiero e cogliere il senso pieno dell’“alterità”. Roberto Marino Masini è inserito nella temperie della sua città, Gorizia, che spesso è una sorta di elemento scenico davanti alla quale scorre la contemporaneità, fatta di emozioni e sentimenti scaturiti dai semplici atti del vissuto. Da alcuni decenni è portato da interessi molteplici ad approfondire i valori dell’espressività iconica nella fotografia, della traduzione drammatica del pensiero declinato in azione sulle scene, di una poesia che coniuga lo scandaglio interiore con l’idea di un orizzonte sul quale collocare frontalmente i perni concettuali della sua poetica. Nel 2002 con Un profondo delicato e nel 2006 con Il tempo ci attraversa mostra i segni distintivi di una modalità di approccio allo strumento lirico tutto personale nell’articolazione del verso, adattato alla temperatura emotiva che lo genera. Sempre nel 2006 si fa conoscere a una platea un po’ più ampia, che apprezza in maniera particolare la pubblicazione sulla rivista di Fiume La Battana di una silloge intitolata La delicatezza di un piacevole mistero. Da quel tempo ad oggi l’impegno di scrittura è stato sempre sostenuto da una ferma volontà di ricerca dentro di sé del nocciolo sostanziale dell’esistenza nelle sue forme visibili e nelle sue parvenze illusorie.
L’“isontinità” non è una semplice determinazione anagrafica, ma il complesso di segni espressivi, tematici, concettuali che sottolineano la piena appartenenza di una persona a una tradizione, a una storia, a una vocazione internazionale con il suo centro fisico in Gorizia, che si prepara ad essere a buon diritto, capitale europea della cultura 2025, un traguardo che già nell’attuale slancio del raggiungimento contiene sperabilmente il presagio di una scossa, uno stimolo forte a risollevarsi dalla sonnolenza un po’ endemica e incamminarsi lungo un destino di sviluppo in ogni campo. Roberto Marino Masini è poeta che lungo le rive dell’Isonzo ha trovato il modo per intercettare i richiami di una natura lussureggiante e variegata che poi ha animato le quinte del suo personale teatro compositivo. Il termine “teatro” per lui non è casuale se si pensa che molte delle sue energie intellettuali e fisiche sono state dedicate proprio a una forma speciale di “drammatizzazione”, quello con ragazzi difficili con disagi mentali. E il palcoscenico, sotto la sua regia, lungi dall’essere un mero metodo ricreativo, è stato sempre un mezzo per conoscere l’anima di quei giovani portandoli a una relazione interpersonale di sollecitanti sviluppi.
Nella raccolta L’andare illogico (Qudulibri edizioni, 2016) l’autore goriziano si muove dentro uno scenario emotivo denso di sollecitazioni a una profonda introspezione. Da molti anni si dedica al sociale, nell’ambito della disabilità psichica, dove ha prodotto una ricerca sulle potenzialità del teatro come disciplina adatta a far emergere l’autenticità del sé nei soggetti impegnati. La sua scrittura si caratterizza per una precisa attenzione alle varie vicende problematiche dell’esistenza e si caratterizza per una poesia che attrae il lettore in un percorso inciso dallo sviluppo biografico del poeta: qui il motivo profondo, da cui scaturisce la riflessione, è il contrasto tra l’andare del corpo e il procedere della mente; la loro asimmetria proietta molte volte l’individuo in un viaggio labirintico in mezzo alle difficoltà del quotidiano. Le liriche, divise in tre sezioni (“Fuori c’è un viaggio che aspetta”, “Vibra la corda che ci unisce”, “Un granello di polvere filtra nel mio sogno”) sono altrettante grandi finestre dalle quali è possibile cogliere una serie complessa di umori e stati d’animo che rivelano la vibratile sensibilità di Masini, sospinto anche a inquadrare con l’occhio disincantato alcuni luoghi a lui familiari, come il Carso, l’Isonzo, il Parco Basaglia a Gorizia, Grado, il Monte Calvario e Lussino.
Le direzioni molteplici del “viaggio senza bussola” intrecciate nella raccolta intitolata L’andare illogico sembrano comporsi in un Respiro (questo è il titolo del nuovo libro di poesie, pubblicato ancora nelle edizioni Qudulibri) variegato di volta in volta da pulsazioni rallentate o accelerate dallo sguardo ai diversi aspetti di una realtà, capace di attirare nella sua essenza proprio quando il poeta ha l’idea di poterne essere soltanto osservatore.
Le parole stillano da una sorgente dove l’amaro e il dolce si alternano creando un ritmo sostenuto dalla vena malinconica di un autore che non ha paura di mettersi allo scoperto, semmai ha il pudore di una confessione troppo aperta sullo spazio altrui. Il tratto saliente della sua poetica poggia su una tendenza al racconto, ma in ogni sequenza Masini cerca di liberarsi dal narrato, dal clima di aderenza alle vicende personali impegnando una sillabazione leggera capace di attestare una provenienza tutta interiore. “Raccontare è facile come dimenticare / ma l’ultimo sorriso come l’ultimo pianto / macchia dentro, un alone indelebile / stringe senza stritolare né liberare l’energia.” Muovendosi sulla linea tra incanto e disincanto, Masini entra nella carne viva della propria vita isolando i momenti attorno a cui la temperatura esistenziale ha registrato casi di inquietudine, attimi di gioiosa condivisione dell’esistente, momenti di paura di fronte ai capricci del destino, sempre insondabile e imprevedibile. I temi della vita e della morte, del dolore e della gioia, di una natura benevola dispensatrice di gioie e onori e, nel contempo, impietosa nel ridurre tutto a un’ombra: “Un’ombra fredda è la tua vita / che se ne va leggera, si alza, si dissolve / nell’oscurità di un giorno nuovo.” In questo giocano un ruolo primario le vicissitudini private, che l’hanno costretto a confrontarsi con la realtà del dolore, della malattia, dell’incertezza del futuro.
Il tempo è materia pulsante delle riflessioni di Marino Masini che ne fa sostanza del visibile e del suo divenire attesa, annuncio, ricordo e presagio, ambivalenza dello sguardo lanciato sulle origini e inviato nelle proiezioni del non ancora accaduto. Non si tratta della dimensione di Chronos, quello che scorre sempre uguale a se stesso, uniforme nelle cadenze e nelle forme, ma quello interiore, vero motore della coscienza che ripercorre a ritroso il “già visto” e lo fa riemergere alla superficie di un presente pensoso e inquieto. Pertanto si innesta molte volte nell’energia della memoria che sprofonda nelle pieghe del passato, puntando la lente degli affetti su episodi, persone, luoghi e atmosfere che sono incisi nella pelle del vissuto e sul ritmo del vivente: l’acqua del fiume e del mare, la pioggia, il rumore dell’acqua sulla roccia, il vento “quando lo senti spingere verso la coscienza”, le rondini che ricamano il cielo di orbite in volo e “porteranno la leggerezza dell’aria, della primavera che si lascia appena sfiorare”. Il poeta sa comunque estrarre da un orizzonte buio e minaccioso sempre una parvenza di luce capace di trasformarsi da un primo accenno a una compiuta speranza. L’idea persistente di una finitudine è anche misura dell’infinito, come dire che l’esiguità del relativo mette in risalto la dilatazione massima dell’assoluto.
Momenti di afasia intensificano i moti della mente dentro lo spazio bianco della pausa, parentesi di silenzio in cui il pensiero si struttura poi nelle articolazioni del verso e nelle modulazioni del ritmo. E l’intonazione dialogica, il riferimento a un “tu” solo apparentemente generico, quasi a voler attirare l’interlocutore nell’area di una condivisione piena, è spunto consueto per una nota piena di sollecitante carica affettiva anche nello sguardo sul mondo, sulle dinamiche tra le persone, nella connessione con le creature del mondo fisico. I moti di tenerezza calibrano il dolce del sentimento segnando nel poeta la spinta a “uscire dal sé” per l’incontro con l’altro e gli servono anche come ideali punti d’osservazione del proprio stato più interno, in posizione lontana dal rischio di un coinvolgimento fuorviante.
“L’attesa è più feroce del momento, consuma, si sfama lentamente” è la conferma che il prima è talora più drammatico del dopo e che, in ogni caso, è carica di inquietudine la duplicità significante dell’attesa come stadio anticipatore della felicità o della disperazione.
“Raccolgo nelle tasche quel po’ d’ energia che rimane / Scendo cauto, ricordando di seminare le briciole di pane / per segnare il tragitto del ritorno, / per non perdermi in questo tempo / che sembra sempre più sbagliato.” Il che significa ritrarsi dentro una capsula di finta indifferenza per l’esistente, che invece sotto gli occhi del poeta mostra le sue cadenze, gli effetti metamorfici, il tratto illogico delle anime che lo popolano, le dinamiche che lo avvolgono sino a travolgerlo.
In questa raccolta il dialetto è la forma colloquiale più vera che lo avvicina alla figura del nonno Toni, relegato in ospizio, “quel posto /dove se podeva solo spetar…” Qui è l’imminenza del trapasso a segnare il tempio dell’ansia scaturita dall’incertezza dell’immediato futuro.
Il ricordo ha declinazioni distanti dalla nostalgia vera e propria, intesa come tormento perché nato dall’impossibilità del ritorno a tempi e luoghi amati, anzi quel sentimento è divenuto il suo contrario: è come se le stagioni trascorse e gli spazi impressi nella mente tornassero continuamente verso di lui, a precisarsi in contorni nitidi e, quando questi svaporano nell’indistinto, è la volta della “visione”, che è ricostruzione del già visto secondo la sensibilità nuova dell’attualità.
La poesia di Roberto Marino Masini si dispiega lungo il tragitto di un viaggio dove le diverse tappe sono legate da un punto all’altro alla sua realtà biografica ma anche alla lente mitografica della fantasia, quella che consente di svincolarsi dalle regole gravitazionali e volare in assetto variabile verso approdi contigui a scenari di luce, accoglienti tanto quanto immateriale è la loro consistenza, vicina all’utopia. E la nostalgia, quando trapela nello sviluppo del testo, non ha le parvenze del rimpianto perché la poesia sa neutralizzarla con l’evocazione di quanto indurrebbe a un ritorno; è per questo che le immagini, i gesti, i silenzi, le pause ricreano un movimento sottraendolo al passato e assegnandolo al presente.
La tristezza e la malinconia comunque sono le pulsazioni che fanno sentire un respiro via via sostenuto di fronte alle evidenze del vivere, ponendo il soggetto creante nella condizione di uscire dal rischio di farsi intrappolare dall’ansia di ciò che si è perduto, casomai dal desiderio di mantenere l’appartenenza mentale a ciò che, rispetto alla realtà sensibile, è entrato nella dimensione dell’assenza.
Roberto Marino Masini
Respiro
Qudu Libri, 2020
- 96, euro 12,00