Stravinskij per due
gennaio 2022 | Il Ponte rosso N° 76 | Luigi Cataldi | MUSICA
Chamber music ha proposto il duo pianistico Sivan Silver e Gil Garburg, coppia nella vita e nella musica
di Luigi Cataldi
La stagione 2022 di Chamber music intitolata “Cromatismi” si è aperta il 12 gennaio scorso al Teatro Miela di Trieste con il duo pianistico Sivan Silver e Gil Garburg, coppia nella vita e nella musica, anzi vera e propria famiglia musicale, poiché il figlio adolescente, compatibilmente con gli impegni scolastici, segue i genitori nelle loro tournée in tutto il mondo, condivide i loro successi e attenua le loro fatiche. Silver e Garburg, israeliani d’origine, vivono a Berlino, insegnano duo pianistico all’Università delle arti di Graz ed hanno un’intensa attività concertistica in tutto il mondo. Suonano insieme da oltre vent’anni, ma si conoscono da quando erano adolescenti; hanno percorso separatamente la via della formazione e poi della carriera concertistica e didattica, prima di unirsi in modo così esclusivo. «Non si può star seduti per quattro ore totalmente “accordati” l’uno all’altra e restare separati», dice Garburg. Questa perfetta accordatura si è sentita anche nell’impegnativo programma stravinskiano presentato a Trieste: Petruška e La sagra della Primavera. Mi si perdonerà se per descrivere la prima opera trascurerò la seconda.
Nelle Cronache della mia vita Stravinskij così rievoca la prima idea di Petruška. «Componendo questa musica avevo nettamente la visione di un burattino scatenato che, con le sue diaboliche cascate di arpeggi, esaspera la pazienza dell’orchestra, la quale a sua volta gli replica con minacciose fanfare. Ne segue una terribile zuffa che, giunta al suo parossismo, si conclude con l’accasciarsi doloroso e lamentevole del povero burattino». Il titolo giunge poi come una folgorazione sulle rive del lago Lemano in Svizzera (dove spesso il compositore soggiornava e dove si trasferì dal 1914): «Petruška! L’eterno, l’infelice eroe di tutte le fiere, di tutti i paesi! Era questo che volevo, avevo trovato il mio titolo!» Era l’autunno del 1910. Per seguire l’ispirazione di questa operina pensata per piano e orchestra, Stravinskij stava trascurando la Sagra della primavera, commissionata da Djagilev, il quale, quando vide la sua Sagra in abbandono, si consolò ascoltando questa prodigiosa zuffa di burattini e pretese che da lì si ricavasse un balletto, che infine andò in scena con le coreografie di Fokine per la compagnia dei Ballets Russes di Djagilev nel giugno del 1911. Vi si narra la storia di tre marionette di legno e segatura che si muovono per l’arte di un Ciarlatano in mezzo alla festa popolare per la «settimana grassa» di S. Pietroburgo. Petruška (burattino triste come Pierrot e dunque assai diverso dalla spavalda e prepotente maschera tradizionale russa), innamorato della Ballerina e da lei respinto, viene prima cacciato e infine ucciso dal brutale Moro, suo rivale, fra lo stupore della folla. Il Ciarlatano non fa nemmeno in tempo a rassicurare tutti che non vi sono morti veri, ma solo burattini, che dal tetto della sua bancarella si vede apparire il fantasma di Petruška che agita il pugno in segno di minaccia.
La materia è distribuita in quattro parti delle quali le due centrali (La stanza di Petruška e La stanza del Moro) sono incorniciate dalla Festa popolare della settimana grassa (prima e quarta parte): un frastuono di danze, canti, voci e rumori. La massa sonora dell’orchestra (parti quadruplicate di legni e ottoni, ampia sezione di percussioni, piano, anch’esso violentemente percussivo, arpe e archi) dà corpo a un impasto mutevole di suoni e di ritmi, che va dal mondo immaginario e intimo della “stanza di Petruška” al fracasso della moltitudine radunata in piazza (mercanti, soldati, orsi, zingare, carrettieri, stallieri). Giungono da lì, distorte e confuse, danze viennesi, musiche da organetto di strada, melodie popolari, che si accavallano e si contendono la scena. È il suono di una società massificata che cerca divertimento e affermazione. La composizione procede per affastellamento di temi, non sviluppati ma sovrapposti o ripetuti con accenti sfasati che ne mutano la natura e determinano ossessive poliritmie e lancinanti dissonanze (l’accordo bitonale di Petruška è divenuto una pietra miliare dell’armonia contemporanea come il “Tristan Akkord” wagneriano). In questo frastuono (non caos, ma congegno meccanico irrefrenabile) si manifesta l’aspirazione del burattino alla vita da uomo, all’amore e all’inclusione sociale, ma questo anelito si conclude con la sopraffazione e la morte. «Il fantasma di Petruška», dice Stravinskij, «è il vero Petruška e la sua apparizione alla fine fa sì che il Petruška degli episodi precedenti risulti un semplice fantoccio. Il suo gesto non è di trionfo o di protesta, come spesso si dice, ma una specie di marameo rivolto al pubblico». «Il poeta si diverte», aveva detto in quegli stessi anni Palazzeschi.
Si può esprimere tutto ciò con il solo pianoforte? Senza dubbio da un pianoforte percussivo e scatenato tutto è nato, come si è visto. In seguito, nel 1921, Stravinskij ricavò Tre movimenti da Petruška (non una trascrizione, precisò, ma «un brano essenzialmente pianistico»), poi, nel 1947, insieme alla revisione orchestrale della partitura, in cui, superata la fase fauve, alcune asprezze risultano attenuate, stese la versione per piano a quattro mani. Gil Garburg ha sottolineato, durante una breve pausa a metà del concerto, che Stravinskij ha steso parallelamente la versione per orchestra e quella per piano a quattro mani di entrambe le composizioni eseguite (il quattro mani della Sagra della primavera fu anzi pubblicato prima della partitura orchestrale). Un modo insomma per dar corpo alla stessa idea musicale con mezzi diversi.
A Trieste i due pianisti, in un repertorio per loro consolidato (un apprezzatissimo CD è uscito nel 2015), hanno mostrato affiatamento senza pari. È il frutto in primo luogo di attenzione per l’evento sonoro che essi stessi producono e di cui sembrano essere i primi destinatari. Dalle dita il movimento si diffonde alle braccia e agli interi corpi in una sorta di vera recitazione sonora. I due congegni stravinskiani, sebbene complicatissimi, offrono solidi appigli per la sincronia: gli accenti nei ritmi sfasati, le dissonanze improvvise che interrompono un motivo in corso, i mutamenti di massa sonora e di ritmo, persino i silenzi. Ciascun evento significativo diventa cardine dell’esecuzione e strumento di orientamento: si visitano luoghi sconosciuti (il mondo primitivo della Sagra, il trambusto del carnevale a S. Pietroburgo di Petruška), ma non si perde mai la bussola. Così Silver e Garburg mantengono il barbarismo di Stravinskij entro i limiti di un’esecuzione che appare, più che controllata, spontanea e naturale, ma rende con chiarezza il differente carattere delle due composizioni eseguite. La sconfitta e la trasfigurazione in vivente sberleffo causticamente ironico di Petruška; l’atonalità massiccia, senza traccia di ironia della Sagra.