Signore delle cime

| | |

Ricordando Emilio Comici, nel 120° anniversario della sua nascita

di Nadia Danelon

 

«1. Non affrontare mai la montagna con leggerezza: cioè senza una buona preparazione tecnica, fisica e morale; 2. Ricordati che in montagna si cela sempre l’insidia: perciò assicurarsi sempre vicendevolmente, anche nei passaggi apparentemente facili; 3. Fa sempre la sicurezza con la corda alla spalla, e possibilmente attraverso uno spuntone di roccia od un chiodo; 4. Osserva sempre con massima attenzione tutti i movimenti del capocordata; 5. Quando avanza il secondo di cordata, se tu fai sicurezza non sporgerti mai per parlare o per vederlo; 6. Non smuovere sassi. Ricordati che uno dei maggiori pericoli dell’alpinismo in genere sono i sassi fatti cadere dal compagno che avanza; 7. Non essere mai inquieto e non imprecare contro il compagno; 8. Quando ti trovi in difficoltà mantieniti calmo e non aggrapparti disperatamente alla roccia; 9. In un passaggio che per te è molto difficile, non salire mai a caso sperando di trovare l’appiglio, non proseguire mai quando hai mani gelate o rattrappite per la stanchezza, non arrischiarti mai se non hai almeno un chiodo sicuro al massimo quattro metri sotto di te; 10. Ubbidisci sempre a quella “voce interiore” che ti dice di non attaccare quel dato giorno la parete».

Ecco il Decalogo del rocciatore, una sorta di testamento spirituale del celebre Emilio Comici: forse il più famoso alpinista della storia d’Italia, nato a Trieste il 21 febbraio 1901 e morto prematuramente a Selva di Val Gardena il 19 ottobre 1940. Nel corso di questo biennio 2020-2021, la sua città natale ha l’occasione per ricordarlo nuovamente. Prima di tutto commemorando l’80° anniversario della sua tragica dipartita, che all’epoca ha sconvolto l’intero settore alpinistico italiano, per le circostanze sconcertanti e allo stesso tempo banali in cui è avvenuta. Ma, con un altro spirito, il 2021 ci permette di celebrare il 120° compleanno di Comici: perché, anche se la sua vita terrena è giunta al termine prima di aver compiuto quarant’anni, per il mondo dell’alpinismo italiano, e giuliano in particolare, la leggenda di Comici è ancora oggi più viva che mai.

Non è semplice descrivere la figura di Emilio Comici. I suoi contemporanei, così come gli storici dell’alpinismo, hanno scritto migliaia di pagine parlando della sua tecnica, di un talento fuori dal comune. «Arrampicava come un gatto», dicevano di lui: in effetti, passando in visione i vecchi e preziosissimi filmati del Club Alpino Italiano, ci si può rendere conto della sua grande abilità. Accarezzava le rocce, apprezzando la montagna proprio per la sua inviolabilità. Comici era un personaggio elegante: questa sua qualità si trasmetteva anche nelle sue salite che, come i rocciatori amano ricordare, seguivano «quanto più possibile, la linea verticale che collega la cima con la base della parete, cioè la linea della goccia che cade» (Siro Cannarella, 2010).

Ripercorrere la carriera di Emilio Comici, considerando soprattutto che gli avvenimenti si stringono nell’arco di appena vent’anni, provoca un certo stordimento: la storia delle due sezioni del C.A.I. presenti a Trieste – ovvero la Società Alpina delle Giulie (fondata nel 1883) e la Sezione XXX Ottobre (fondata nel 1918) – è saldamente legata alle imprese di questo famoso sportivo. È importante ricordare che la sua attività ha avuto inizio negli abissi: prima di essere arrampicatore, Comici è stato infatti uno speleologo. Assiduo frequentatore sin dall’infanzia del Ricreatorio Pitteri della Lega Nazionale, all’età di diciotto anni ha aderito alla nuova associazione nata l’anno precedente, la XXX Ottobre, all’epoca società sportiva. Si conservano ancora le fotografie di quel periodo, che ci mostrano un Comici per certi aspetti diverso da quello che poi è passato alla storia, ma che sappiamo essere stato già allora un grande appassionato del rischio: ce lo documentano i preziosi e ormai rari articoli, conservati anche presso l’archivio della S.A.G. (Società Alpina delle Giulie), che tra le altre imprese speleologiche ricordano l’esplorazione del Bus de la Lum, avvenuta l’8 agosto 1924.

Ci si può chiedere, a questo punto, quali siano state le circostanze che hanno portato al passaggio di Comici dalla discesa nelle grotte all’arrampicata su roccia. Ebbene, un ricordo riportato in uno dei suoi scritti ci chiarisce le ragioni di questa svolta: «Ricordo di sfuggita che alla esplorazione del famoso Bus de la Lum, sull’altipiano del Cansiglio, alcuni amici dell’Alpina delle Giulie di Trieste, mi chiesero – “Comici, perché non vieni anche tu in montagna?” – Un giorno accolsi l’invito e immediatamente sentii rivelarsi in me questa fiamma che ora è quasi tutta la ragione e quasi tutto il fine della mia vita». Ecco, dunque, come tutto ha avuto inizio.

Spiro Dalla Porta Xydias, uno dei più importanti storici dell’alpinismo e biografo di Comici, ha affermato: «Non è che, immediatamente, lui è stato il grande Comici», riferendosi alle grandi vittorie di VI grado su roccia, «Perché a Comici noi dobbiamo la pratica, l’allenamento, la scoperta vera della Val Rosandra» (dal documentario Sulla via della goccia d’acqua – la storia di Emilio Comici, regia di Marco Calabrese). Sì, perché è nella Val Rosandra, palestra naturale di roccia facilmente raggiungibile da Trieste, che l’insegnamento tecnico dell’alpinismo in ambito giuliano ha avuto origine. Infatti, ispirata dalla volontà di fornire un’adeguata preparazione a tutti i giovani appassionati della montagna, affascinati principalmente da Comici tanto da cercare continuamente di riprodurne lo stile, nasce nel 1929 la Scuola di arrampicata della Società Alpina delle Giulie. Successivamente ribattezzata per ricordare il più celebre tra i suoi soci fondatori, la Scuola nazionale di alpinismo “Emilio Comici” esiste ancora oggi.

Non contento della possibilità di arrampicare solo saltuariamente, l’alpinista decide di lasciare il suo sicuro impiego ai Magazzini Generali di Trieste per diventare guida alpina a tempo pieno. Si trasferisce a Misurina, nei pressi di un gruppo che nel 1933 gli regala due memorabili vittorie: le tre cime di Lavaredo. Infatti, tra il 12 e il 13 agosto di quell’anno scala insieme ai cortinesi Angelo e Giuseppe Dimai la parete nord della cima grande: un’impresa memorabile, caratterizzata da difficoltà particolarmente pesanti, come la poca sicurezza dei chiodi quasi impossibili da far entrare nelle fessure. Ma ce la fanno, alle dieci del mattino del 13 agosto sono già in vetta. Passano pochi giorni (27 agosto 1933) e la cordata formata da Comici, Mary Varale e Renato Zanutti supera le difficoltà dello “spigolo giallo” (spigolo sud) della cima piccola di Lavaredo.

Questi sono solo due esempi, tra i più celebri della sua carriera. È stata Mary Varale, moglie del giornalista e scrittore (oltre che alpinista) Vittorio Varale, ad ispirare la simpatica definizione di Comici come “guida in smoking”. In un articolo del marito pubblicato su La Stampa del 16 dicembre 1933, viene riportato il divertente aneddoto di una conversazione tra la donna e l’alpinista dove la Varale, alludendo al contenuto delle valigie di Comici, scherzosamente gli dice «Scommetto che ci hai dentro lo smoking». Come spiegato dall’autore, l’amicizia tra i due permetteva alla moglie di conoscere bene le abitudini di Emilio, che solitamente si congedava presto dopo una giornata di fatiche. Tuttavia, l’eleganza del suo stile fa sì che tale definizione, quella della guida in smoking, gli calzi a pennello. In effetti, Comici fa parte di quel gruppo di personalità che rivoluzionano la figura della guida alpina, contribuendo al consolidamento di tale professione nella società.

Si racconta che Comici, a suo tempo, non sia stato uno studente particolarmente brillante, tanto da aver completato semplicemente le scuole dell’obbligo. Tuttavia, leggendo il volume Alpinismo eroico, uscito postumo per raccoglierne gli scritti e perpetuarne la memoria, si possono trovare molte descrizioni suggestive, non solo di pure acrobazie alpinistiche, ma anche di impressioni maturate durante le imprese. Per esempio, durante la prima ascensione per la parete nord-ovest della Sorella di Mezzo del Gruppo del Sorapis nelle Dolomiti Orientali (con Girodano Bruno Fabjan, tra il 26 e il 27 agosto 1929), ecco su cosa si sofferma Comici in bivacco: «La luce del rifugio non brilla più. Misurina invece è tutta uno scintillio di luci. Gli alberghi principali si animano: comincia la vita mondana. Si balla. Vediamo con l’immaginazione la sala rigurgitante di grazie femminili, che allacciate ai loro cavalieri si lasciano trasportare dall’onda di un voluttuoso tango. Vediamo coppie stanche mollemente affondate nei soffici divani, e calici di biondo spumante non meno inebriante del tango. Vediamo tutto ciò, ma senza invidia. Noi invece, acceso il fanalino e rannicchiati l’uno vicino all’altro, ce lo poniamo un po’ per uno vicino alle ginocchia, perché alle ginocchia il freddo maggiormente si fa sentire. Sarà suggestione, ma anche il calore di una candela lenisce quel tormento. Non abbiamo neppure la soddisfazione di poterci alzare in piedi e saltare per riscaldarci: la cengia è troppo stretta e ci fa una certa impressione soltanto il rizzarci; fuori dal breve tratto illuminato dal fanalino, tutto è nero e vuoto. Siamo seduti o meglio fatti a palla, con la testa che poggia sulle ginocchia, e tentiamo di prendere sonno […]».

Comici accumula vittorie, non solo in Italia ma anche all’estero. Con la signora Anna Escher, sua affezionata cliente ma anche amica, viaggia alla ricerca di sfide alpinistiche: in Egitto, Spagna, Jugoslavia e Grecia (dove scala l’Olimpo). Il 2 settembre 1937 è di nuovo sulla parete nord della cima grande di Lavaredo, questa volta da solo: la supera in tre ore e tre quarti. Come se tutto ciò non bastasse, è anche un acclamato maestro di sci: tra le sue pubblicazioni, c’è anche il volumetto Con me a scuola di sci.

Sono gli anni del fascismo ed egli è uno degli sportivi più celebrati d’Italia: nel 1939 viene nominato Commissario Prefettizio (non podestà, come spesso viene erroneamente ricordato) di Selva e S. Cristina di Val Gardena. In quel momento non lo può sapere, ma la sua vita è quasi giunta al termine. Riesce a regalarci un’altra impresa, l’ultima della sua carriera: nell’agosto del 1940 scala la parete nord del Salame del gruppo del Sassolungo (all’epoca battezzato “Campanile Italo Balbo”) in compagnia di Severino Casara.

Per descrivere le circostanze della sua morte avvenuta, come già ricordato, il 19 ottobre 1940, vale la pena di soffermarsi sull’ultimo punto del suo decalogo: mai attaccare la parete in un determinato giorno, se la propria voce interiore suggerisce che è meglio non farlo. Ecco, secondo il racconto dei testimoni, sembrerebbe proprio che la violazione di questa regola normalmente autoimposta sia stata determinante nei fatti di quel giorno. Che Comici, inconsciamente, abbia in qualche modo previsto la sua fine? Sarebbe meglio non cercare una risposta a questa domanda.

In ogni caso, fa riflettere anche un altro passaggio di Alpinismo eroico, dove egli fa riferimento all’amico Dario Mazzeni, morto nel tentativo di conquistare la vetta vinta poi da lui e Mario Orsini (8 settembre 1929): «Quando la montagna vuole la sua vittima, quando ci rapisce un compagno, quando dalla nostra famiglia alpina scompare un fratello caro, non sgorgano dai nostri occhi le lacrime ad alleviar l’amarezza: rimane, compresso, nel petto il dolore. Passato il primo momento di angoscioso stupore, che serra la gola e non permette di articolare la voce, una sorda ribellione si impadronisce di noi. Ma contro chi? Contro la montagna? No: la veneriamo troppo! Sarà forse contro l’avverso destino. E sfidiamo, allora, il destino! Domani toccherà a noi, ma che importa? Appunto per questo lo sfidiamo».

Comunque, al di là di qualsiasi interpretazione, questi sono i fatti: nel pomeriggio del 19 ottobre 1940, la comitiva formata da Emilio Comici, Tommaso Giorgi, Carlo Fissore, Gianni Mohor e Linda Demetz si è cimentata in una breve arrampicata. Della vicenda ci sono due testimonianze: quella di Giorgi e quella di Mohor, contenuta nella sua biografia La mia vita per l’Alpe (riguardo a questo alpinista, si rimanda al numero monografico della rivista Alpi Giulie uscito nel 2020 a cura di Flavio Ghio). Pare che Comici, nonostante l’intenzione originale di non cimentarsi nell’arrampicata, abbia accontentato la Demetz impartendole una lezione sulla breve parete Campaccia in Vallelunga, dov’era già impegnato il resto del gruppo. Per fornire un consiglio relativo ad un particolare passaggio, pare che si sia sporto utilizzando un cordino, ignorando che fosse marcio all’interno. Una volta spezzatosi l’elemento di sicurezza, Comici è precipitato per circa quaranta metri: questa è stata la sua tragica fine, nella più assurda delle morti per lui che del rischio in montagna aveva fatto la ragione della sua stessa esistenza. Lo stordimento, il dispiacere di coloro che lo hanno conosciuto per avere perso non solo un abile scalatore, ma anche e soprattutto un amico fidato si riassume anche solo nelle poche parole che aprono un ricordo di Giorgio Brunner: «Emilio Comici non è più».