Per non dimenticare Ketty Daneo
Il Ponte rosso N° 38 | in altre parole | Luisella Pacco | ottobre 2018
di Luisella Pacco
Enrica Bon. Questo nome vi dice qualcosa? Probabilmente no, perché nessuno mai la chiamò così. Enrica era diventato subito Ketty e il cognome da ragazza era stato felicemente sostituito da quello dell’adorato marito, il pittore Renato Daneo. È assurdo che sulla sua tomba (umilissima, per altro, un loculo comune), cui ho fatto visita giorni fa, ci sia solo la verità anagrafica e non anche quella dell’arte (come quasi sempre si fa, indicando doverosamente lo pseudonimo dell’artista defunto). Uno dei tanti, lievi ma crudeli insulti dell’oblio contro Ketty Daneo, che pure per cinquant’anni fu protagonista del panorama culturale triestino.
In questo 2018 che sta per finire e che portava con sé due anniversari piuttosto importanti (centodieci anni dalla nascita e venti dalla morte), quasi nessuno l’ha ricordata. L’unico autentico omaggio che mi venga in mente è quello di Franca Olivo Fusco, poetessa a sua volta nonché attenta e sensibile saggista, che oltre ad aver pubblicato il volume Ketty Daneo. Poesie scelte 1950-1992 (BastogiLibri, 2017), con una certa frequenza le dedica conferenze e letture pubbliche.
Questo articolo vuol essere quindi un ricordo di Ketty ma anche un ringraziamento a Franca e al suo lavoro instancabile e importante, unica voce tenace tra assordanti silenzi.
Nata a Trieste il 26 settembre 1908 (molti siti internet riportano la data del 27; è un errore), Ketty inizia a scrivere poesie giovanissima. “Ero una ragazza dai capelli rossi/e le lentiggini sulle guance/ candida nel cuore come il respiro/ del gelsomino. Per amore dell’anima/ e un senso d’ali imparavo i segreti/ di abbozzare sui fogli le poesie […]”
Esordisce a Radio Trieste nel 1944 leggendo alcune sue liriche. La stessa radio, dal 1945 al 1950, trasmette alcune sue commedie e il testo drammatico Il volto nel pozzo.
Il debutto poetico è del 1950 con la raccolta Al di là del fiume, seguita da Il cantico degli anni nostri (1958), Notturno sul Carso (1959), Come un tiro di fionda (1965), La Risiera di San Sabba (1970), Trieste e un lager (1980), L’estasi dei ricordi (1985), Schizofrenia (1990), Sulle tempie del mondo il sangue batte sofferenza e amore (1992). Ultima opera, Il liuto del confine (1995), che ricomprende quasi tutte le poesie edite più cinque inedite.
Si dedica alla narrativa con La casa dei sambuchi (1983), La leggenda del Lago Zamar (1988), Magia in una sagra di nozze d’estate (1989), La leggenda della Dama Bianca di Duino (1995).
Si occupa anche di letteratura per ragazzi, con Il giardino del sole (1952), Un ragazzo e cento strade (1956), Ninna Nanna (1960).
Di lei hanno scritto autorevoli critici e poeti (tra cui Giorgio Barberi Squarotti e Salvatore Quasimodo).
Ma Ketty appare anche a chi non si occupi di letteratura, ma semplicemente visiti con attenzione la città. Chi ad esempio vada alla Risiera di San Sabba – cosa che anche noi triestini dovremmo fare più frequentemente, non solo nei giorni pomposamente deputati alla memoria (la memoria è sempre, o non è) – trova i versi di Ketty incisi nel marmo. Li volle il sindaco Gianni Bartoli, nel 1955.
Dalla fabbrica/calano sulla città urla tese/di martirio: una risiera/ un tempo, che le mondine giovani/ curve allo sbramino/ riempivano di stornellate/ nelle stagioni dolci del sambuco/ sognando ragazzi, all’uscita. / Ora, soldati stranieri accampati/ fra i ceppi di tortura/ tentano corrompere nell’aria/ quegli stremati lamenti / coi sibili dell’acre fiato/ dentro le ocarine./ C’è in noi, dentro i cuori sarchiati/ niente, neanche pianto:/ camminiamo stentando il passo/ a filo del terrore/ per le strade che allontanano/ dalla canèa di San Sabba./ […]
Della sua vita privata poco si sa. Bisogna andare a scovarla, a intuirla, tra le righe dei suoi scritti. Era una persona riservata, Ketty. Noto ed evidente a tutti era soltanto l’amore immenso per il marito Renato che lei chiamava “il mio Re”, contrazione del nome, certo, ma anche “re” di un regno fatato in cui Ketty amava credere di vivere.
Ma nulla di più possiamo dire o indovinare, perché fu sempre molto discreta. Pur gentile e disponibile alla conversazione e all’amicizia (Franca Olivo Fusco infatti ne fu amica personale dal 1987 fino all’ultimo giorno), Ketty Daneo manteneva un pressoché assoluto riserbo su ciò che non era la sua arte.
Chi la conobbe e la frequentò – poco o tanto, non importa – la ricorda come una persona amabile (la sua voce e i suoi modi erano dolcissimi); elegante (vestiva e si acconciava sempre con cura e vezzosa vanità). Una cosa su cui tutti si trovano d’accordo è che sembrava uscita da un altro mondo, da un altro tempo.
Potrei dirlo anch’io, che pure l’ho incrociata per un solo istante della mia vita. A vent’anni o giù di lì, mi capitò di fare la postina (sapete, quei contratti a tempo determinato che portano i primi soldini a chi non ha ancora trovato un lavoro stabile). Dovevo consegnarle una raccomandata con ricevuta di ritorno, nella sua casa di Via Baiardi 4. Venne ad aprirmi, abbigliata splendidamente, in una sontuosa vestaglia. Una magnifica e aggraziata signora che allora aveva più di ottant’anni.
Avrei voluto dirle tante cose: che conoscevo il suo nome, la sua attività poetica, che anch’io amavo la poesia… ma naturalmente ero troppo in soggezione per azzardare tutto questo. Una Poetessa per me era ciò che per qualcun altro era una rockstar! Mi feci firmare la cartolina di ricevuta e me ne andai, salutandola timidamente senza dirle niente di più.
La casa di Via Baiardi, oggi lo so, aveva un ampio giardino che quel giorno potei soltanto intuire, con piante e fiori che Ketty curava appassionatamente. Il contatto con la Natura (e i suoi doni: l’armonia, il senso di pace) le era caro e prezioso.
Mi piace pensare che in quella casa (che fu la sua casa del cuore, da cui incredibilmente fu sfrattata nonostante l’età, per finire i suoi giorni in un appartamento di Via Carpison) qualcosa di lei aliti ancora.
Nella poesia Tornerò Ketty scriveva così:
[…] Quando seguirti dovrò, Morte, / il sole continuerà a fendere/ la terra delle mie aiuole/ e le rondini d’ogni marzo/ torneranno a garrire negli incontri/ con il vecchio nido sotto i coppi./ Mi aspetterà, fermo, il tiglio in fiore/ alla raccolta e i bimbi nuovi / del mio verde rione busseranno, / come ora, alla mia casa/ qui dove la vita si sfila da magiche/ matasse in fiabe.
Ma non risponderà il mio passo lieto,/ né la mia voce gaia con quelli che amai. / Tutto di me tacerà. / Solo la notte tornerò, nascosta / fra le canne indiche, / a chiamare il mio amore, /- avrò la voce degli uccelli? -/ le lacrime confuse con la pioggia/ la carezza sulla bocca del vento / dietro la vetrata.
Ma non è necessario credere ai fantasmi per ritrovare la voce di uno scrittore. Basta leggere. Ogni lettore lo sa: il legame più forte tra il mondo dei vivi e quello dei morti è la parola.
Se volete iniziare dalla poesia, il saggio di Franca Olivo Fusco è un ottimo modo per apprezzare – nella prima parte – poesie scelte e ben commentate che vi faranno venir voglia di leggere le opere complete, e per scoprire – nella seconda – la donna e l’amica ricordata affettuosamente anche negli ultimi momenti.
“Nel suo letto d’ospedale, Ketty era bellissima come sempre, anche senza trucco. Per la prima volta le vedevo il decolleté. Avevo sempre pensato che lo tenesse nascosto perché non rivelasse i segni dell’età, invece la sua pelle era perfetta come quella di una donna giovane”.
Se invece volete avvicinarvi alla narrativa, il mio personale suggerimento va a La casa dei sambuchi.
Se, infine, come me volete farle visita e portarle un fiore (un garofano rosso, che lei amava), andate al Cimitero di Sant’Anna, campo XIV, loculo numero 1690. Ma fatelo presto, perché anche quell’ultima dimora ha una sorte incerta. L’estumulazione doveva avvenire già nel 2008, è stata rimandata al 2018, e prossimamente dovrebbe essere eseguita.
“Se nessuno pagherà la somma richiesta per la conservazione dei resti, di lei non resterà traccia…. “ scrive Olivo Fusco. “Spero almeno che a vent’anni dalla morte le venga dedicata una via della sua città, alla quale fu sempre molto attaccata, tanto che rinunciò ad una allettante proposta ricevuta dalla RAI di Roma pur di non staccarsene. Nel suo primo libro Al di là del fiume del 1950, nella poesia Alla mia città, aveva scritto: O nome d’ali spiegate nel vento/ o mia città, non lontano rivolgerò i miei passi,/ non altri saranno i sassi/ che i tuoi/ dai viottoli alle aspre salite.”
Attendiamo dunque, che Trieste ricambi questo amore, che il Comune si faccia carico di una sepoltura perpetua e degna, e che i lettori tornino a ricordare e a leggere Ketty Daneo.