Leonardo a Gradisca
Alessandro Rocco | Il Ponte rosso N° 49 | settembre 2019 | storia
Negli anni milanesi Leonardo dipinse l’Ultima cena, La Vergine delle rocce e la Dama con l’ermellino
di Alessandro Rocco
Manca la prova materiale (documenti, relazioni, prove scritte, ecc.) che confermi con certezza che Leonardo sia venuto effettivamente a Gradisca e vi abbia fatto qualcosa. Gli indizi però sono molti, e sufficienti a raggiungere un altissimo grado di probabilità che questa tradizione secolare abbia un fondamento di solida realtà. Per cercare di ricostruire come Leonardo sia arrivato dalle nostre parti, perché ci sia venuto e soprattutto cosa abbia fatto dobbiamo iniziare una sorta di indagine poliziesca che metta in fila i dati storicamente accertati con gli indizi sparpagliati qua e là, al fine di ricostruire un percorso logico che porti a un quadro coerente.
Quello che cercheremo di seguire è un percorso complicato, che si intreccia con l’intricata storia d’Italia e d’Europa della fine del XV secolo e gli inizi del XVI da quando, cioè, nel 1492 con la morte di Lorenzo de Medici (l’ago della bilancia politica italiana) viene a crollare quel delicatissimo equilibrio che per anni aveva retto il fragile sistema degli Stati regionali italiani
Siamo sul finire del 1400, e Leonardo lavora a Milano da una quindicina d’anni al servizio del Duca, ed è al culmine del successo e dell’energia creativa. Vi era arrivato trentenne da Firenze nel 1482, al seguito di una delegazione di artisti e scienziati inviata da Lorenzo il Magnifico, e fin dai primi tempi aveva cercato di avvicinarsi a Ludovico Sforza detto il Moro, suo quasi coetaneo e reggente del Ducato (a fianco del nipote Gian Galeazzo Maria Sforza) e in realtà vero dominus della politica milanese. Per distinguersi dagli altri con concorrenti, sapendo che l’ingegnere di corte Bartolomeo del Gadio stava per lasciare l’incarico per raggiunti limiti di età, nella sua una lettera di impiego Leonardo vanta le sue capacità di ingegnere militare e civile, per quanto non avesse mai operato in quel campo essendo la sua formazione prevalentemente quella di pittore. Dopo gli inizi difficili il successo gli arride, e Leonardo allarga la sua attività in tutti i campi dell’arte e dello scibile.
Sono gli anni in cui dipinge l’Ultima cena, La Vergine delle rocce, la Dama con l’ermellino; e in cui progetta il monumento equestre a Francesco Sforza: un lavoro enorme, che lo occupa per più di otto anni in studi per la progettazione e in calcoli per la fusione del bronzo. Quando nel 1493 viene esposto nel Castello sforzesco il modello in creta (su cui doveva essere posto il calco in cera per la fusione a cera persa) l’ammirazione è somma: l’opera è gigantesca, alta circa otto metri, e per la sua fusione saranno necessarie 100 tonnellate di bronzo, che Ludovico i Moro inizia a mettere da parte.
Come ingegnere civile Leonardo si applica in studi sull’idraulica: progetta un traghetto basato sulla scomposizione del parallelogramma delle forze, che gli permette di attraversare un fiume spinto dalla sola forza della dalla corrente. Mette mano al canale navigabile tra il Po e i Navigli e progetta un sistema più efficiente per la chiusa della conche dei Navigli. Progetta città ideali, fortificazioni e chiese.
In tema di ingegneria bellica progetta carri falcianti, carri armati, batterie multiple di cannoni che sparano contemporaneamente a 360 gradi, superbalestre, cannoni multicanna, cannoni a vapore (architronitro), una specie di mitragliatrice, macchine semoventi, macchine volanti (vascello volante con pilota), ali per volare, elicotteri.
Purtroppo, si addensano tempi bui. Gli stati regionali italiani sono sempre in lotta tra di loro e, tra matrimoni, guerre, alleanze, omicidi, riappacificazioni e tradimenti, non si accorgono che in Europa stanno sorgendo gli Stati nazionali, dotati di robusti appetiti di conquista, che guardano all’Italia come una ricca e facile preda Tra di essi la più aggressiva è la Francia, su cui regna Carlo VIII di Valois. è lui, infatti che inaugura la moda del gran tour militare nel Bel Paese: nel 1494 scende in Italia in compagnia del suo esercito con l’idea di soffiare a re Ferrante di Aragona il Regno di Napoli, invocando il pretesto di lontani diritti ereditari a lui spettanti per il fatto che sua nonna Maria apparteneva alla casa degli Angiò i quali, a loro volta, avevano perso il regno a favore degli Aragonesi circa cinquant’anni prima. La rapidità e la facilità con cui Carlo VIII scorazza per la penisola sbaragliando oppositori e distruggendo città prima di raggiungere Napoli, mette in evidenza la sostanziale debolezza del sistema degli Stati ragionali in cui allora era suddivisa l’Italia, e innesca una serie di alleanze, tradimenti e cambi di fronte che, anche se Carlo è costretto a mollare la presa e a tornarsene in Francia a mani vuote, per il successivo cinquantennio renderanno l’Italia terreno di battaglia delle potenze straniere per il predominio sull’Europa. Quattro anni dopo quella sfortunata spedizione, la sera del 7 aprile 1498, Carlo VIII, rientrando a cavallo nel castello di Amboise dopo aver assistito a un torneo, non si accorge che l’architrave del portone è troppo basso e vi sbatte il capo con funeste conseguenze: il giorno dopo, tra l’impotenza dei medici e lo sgomento della corte, il re muore a causa dell’ematoma cerebrale conseguente al violentissimo trauma. Il problema è che il ventottenne defunto sovrano è l’ultimo rappresentante del ramo diretto dei Valois ed è privo di eredi, per cui sorge il problema di trovare un sostituto.
Dopo molte trattative gli succede il cugino Luigi del ramo cadetto dei Valois-Orleans, che viene incoronato il 28 maggio 1498 e assume il nome di Luigi XII. E qui cominciano i problemi per il ducato di Milano, per Ludovico il Moro e, giù a scalare, anche per Leonardo da Vinci.
Anche Luigi XII si ricorda di avere una nonna, si chiama Valentina ed è della progenie dei Visconti di Milano. A Milano, però, adesso comanda Ludovico Sforza, detto il Moro, erede di quella famiglia che si era impadronita del Ducato una quarantina d’anni prima, sostituendosi ai Visconti, legittimi regnanti. Per Luigi XII Ludovico il Moro è dunque un usurpatore, e in forza del il suo visconteo diritto ereditario decide di venire in Italia per prendersi il ducato di Milano con lo stesso pretesto con cui il suo predecessore si era impadronito del regno di Napoli.
Venezia è lesta a cogliere l’occasione: vede nella spedizione di Luigi XII l’opportunità di ampliare il suo Stato da Tera espandendosi nella pianura padana verso occidente a spese dei milanesi, e si allea con la Francia.
Ludovico il Moro, visto il pericolo incombente, non se ne sta con le mani in mano. Per prima cosa prende tutto il bronzo che aveva fatto metter da parte per il monumento equestre commissionato a Leonardo da Vinci in onore di suo padre Francesco Sforza e lo utilizza per fondere nuovi cannoni; poi arruola nuove truppe per contrastare i Francesi nel Ducato; e infine, per coprirsi la spalle dai Veneziani compie due mosse: con la prima sollecita l’alleanza dell’Imperatore Massimiliano I d’Asburgo, che era in qualche modo imparentato con lui, avendo sposato sua nipote Bianca Maria Sforza, e con la seconda richiede l’appoggio dei Turchi, la cui tregua ventennale con Venezia scadeva proprio nel 1499.
La strategia di Ludovico il Moro per mettere in difficoltà Venezia è chiara: egli intende giocare sugli interessi convergenti di entrambi i bracci di una tenaglia. Il primo dei due è rappresentato dagli Asburgo: Gorizia gravitava nell’orbita veneziana dal 1420, cioè da quando Venezia si era sostituita al Patriarca di Aquileia nel dominio della Patria del Friuli. Per questo i Conti di Gorizia, essendo avvocati e quindi vassalli della chiesa di Aquileia, erano considerati da Venezia propri vassalli. Massimiliano d’Asburgo, però, la vedeva in un altro modo e guardava a sud e alla Contea di Gorizia con sempre maggiore interesse perché, per antichi e reciproci patti ereditari tra gli Asburgo ed i Conti di Gorizia-Tirolo, una delle due casate avrebbe ereditato i possedimenti di quella che si fosse estinta per prima, e per una di quelle combinazioni astrali che spesso decidono il destino degli uomini e delle cose, Leonardo ultimo Conte del ramo Gorizia-Tirolo, oltre che anziano e fisicamente debilitato era, fortunatamente per Massimiliano, privo di eredi. In più, ulteriore cruccio per Venezia, il Conte sessantenne non aveva nessuna voglia di aiutare la Repubblica contro i Turchi, e se ne stava nel suo castello di Bruck nei pressi di Lienz in Tirolo, mentre la piazza di Gorizia era retta dal suo delegato, l’ambiguo Capitano di Città Virgil von Graben. L’atro braccio della tenaglia era costituito dai Turchi perché, proprio a causa dell’ampliamento dello Stato da Tera a spese del Patriarcato, da tempo i Veneziani erano stati costretti ad aprire un nuovo fronte di terra in aggiunta a quello marittimo che li vedeva già impegnati contro i Turchi nel Mediterraneo orientale e nell’Egeo. Dalla prima metà del ’400, infatti, la cavalleria turca proveniente dai Balcani aveva cominciato a compiere periodiche scorrerie nella Patria, durante le quali venivano deportate, depredate e massacrate le inermi popolazioni friulane, lasciando ogni volta dietro di sé la regione spopolata e devastata. Queste incursioni, più che frutto di un organico progetto di conquista territoriale da parte dei Sultani, erano iniziative delle popolazioni balcaniche islamizzate (massimamente Albanesi e Bosniaci) che le organizzavano a scopo di rapina, facilitati in questo dalla totale assenza di contrasto da parte dei Veneziani e dei Conti di Gorizia. Nel corso del XV secolo tali incursioni si erano verificate già sette volte, e sempre più ravvicinate nel tempo (nel 1415, ‘63, ‘69, ’72, ’77,‘78 e ’79), gettando nel terrore gli abitanti della Patria a causa della inaudita crudeltà degli invasori.
Dopo l’ultima sanguinosissima scorreria del 1479, Venezia stipula una tregua ventennale con i Turchi, e ne approfitta per completare la costruzione della fortezza di Gradisca (già iniziata nel 1476) e per impostare un sistema difensivo tra Mainizza, Col Fortin e la pendici del San Michele, sollevando elevate quanto inefficaci proteste da parte del Conte Leonardo di Gorizia che riteneva questo sistema di fortificazioni veneziane edificato abusivamente sui suoi territori.
Per ogni buon conto, anche il Capitano di Gorizia Virgil von Graben si attiva in funzione anti turca, e tra il 1485 e il 1496 fa edificare un possente torrione sulla riva destra dell’Isonzo, a difesa dell’unico ponte sul fiume nei pressi di Gorizia.