Le “scorciatoie” di Mladen Machiedo
dicembre-gennaio 2020 | Fulvio Senardi | Il Ponte rosso N° 52 | in prosa
Due libretti in un solo libro, in cui confluiscono riflessioni, meditazioni, aforismi
di Fulvio Senardi
È un bel regalo quello che Mladen Machiedo ha offerto, Natale alle porte, ai lettori italiani. Le Edizioni del Laboratorio, emanazione della rivista di poesia Steve, diretta da Carlo A. Sitta, pubblicano i suoi Linea sottile e Lancetta d’ombra (pp. 75, Є 15), due libretti in un solo libro, in cui confluiscono riflessioni, meditazioni, aforismi.
Di Linea sottile è lo stesso autore a spiegarci genesi e consistenza: «un diario lirico in croato che si diramava in tante direzioni su oltre 300 pagine». Ridotto qui ad una scelta smilza ma sostanziosa, con un esergo in apparenza sibillino, «prima e dopo», ma che diventa esplicito alla lettura. Il «prima» è il doloroso itinerario in cui l’autore ha accompagnato gli ultimi anni di malattia della moglie Višnja, spentasi a Zagabria nel febbraio 2013. Figura luminosa di studiosa, saggista, traduttrice, oltre che persona di mentalità aperta e di squisita cordialità, Višnja ha lasciato vuota non solo la scrivania dove, a fianco del marito italianista, conduceva i suoi studi di letteratura, ma, desolatamente, la vita del compagno con cui era concresciuta dagli anni universitari, inizio gioioso di un sodalizio di affetti e di lavoro. Restano strazianti reliquie i vestiti nell’armadio («3.II.2013 – Evaporano i tuoi profumi dai vestiti nell’armadio. Evaporano anche sempre più distanti i giorni spensierati […]»), mentre la quotidianità, prosaica e spugnosa, avanza le sue pretese e, al confine di una labile (?) promessa di trascendenza, il paradosso di una morte interiore, il crepacuore, che potrebbe forse risolversi solo con la morte del corpo, rende atrocemente evidente, ma quasi in luce d’assurdo, la sparizione della persona amata («17.III.2013 – Come un brutto sogno dal quale è possibile svegliarsi solo nella morte»). Le ultime riflessioni della breve trenodia coprono invece lo spazio del «dopo». Non è un vero ritorno alla vita e nemmeno, per ora, una riuscita elaborazione del lutto: il pensiero è ancora volto all’indietro, ma il rimpianto non è un grido di rivolta per la prontezza ad accogliere i lenimenti di un destino che sembra voler confortare dopo aver colpito: «Messaggio – Non noto quasi le bancarelle dei librai, di solito piene di futilità stampate. Ma alla vigilia di Ognissanti, diretto a tutt’altra destinazione, di fronte alla stazione ferroviaria centrale, fra tutto quanto fu esposto, fissai un’unica copertina. Era la tua prima traduzione in volume, ancora sotto il cognome di ragazza, pubblicata – incredibilmente – 49 anni fa […]».
Chi obiettasse che sa di narcisismo fare della morte dell’amata occasione di scrittura, dimentica che per un poeta (ho tralasciato di dire che Machiedo oltre che critico letterario, traduttore, professore emerito all’Università di Zagabria, è poeta e saggista, anche, in lingua italiana, la sua seconda – qui il paradosso è voluto – lingua materna) intrecciare un colloquio, ormai per voce sola, con chi è venuto a mancare è la maniera per sconfiggere l’assurdo, volgendolo in parole che esorcizzano la legge di caducità che governa la condizione umana. Una contemplazione della morte schietta, accorata e senza compiacimento, che alterna, per così dire, il singolare e il plurale (chi è venuto a mancare? – una persona singola, un ‘noi’, o è l’io che scivola via accompagnando gli echi di una voce che si spegne?), dove ciascuno può pienamente riconoscersi.
Di Lancetta d’ombra – cinque sezioni di aforismi degli anni 2009-2019 – discorre con competenza chi ha firmato la prefazione, Giuseppe Langella della Cattolica milanese. Lancetta d’ombra, scrive, «raccoglie […] soprattutto i malumori civili e l’indignazione politica dell’autore, […] contesta la delocalizzazione delle fabbriche, lamenta il consumismo, stigmatizza la ‘civiltà del sonaglio’ che distoglie continuamente l’attenzione, l’essere sempre in campagna elettorale, […] l’arroganza brandita al posto dell’argomentazione». Chi ancora pensi al poeta come a uno stilita contento di sé, con la testa fra le nuvole a inseguire metafore e rime, dovrà qui ricredersi. Machiedo ha occhi bene aperti sul suo Paese, la cui indipendenza ha pure salutato con entusiasmo, sull’Italia, la patria di una delle sue lingue, l’Europa. E piace che, evitando le armonie prestabilite di lunghe tirate argomentative spesso succubi dello spirito di sistema, abbia scelto, a veicolo del suo fastidio di umanista deluso ma non vinto, l’aforisma, la storica arma polemica dell’intellettualità centro-europea di cui egli fa indubbiamente parte ma senza rinnegare le radici mediterranee (è Hvar/Lesina il suo luogo natale) e il collegamento ideale e morale con questo nord-est d’Italia dove viviamo, stretto tra le Alpi e l’Adriatico, in cui meglio si è sedimentata l’influenza mitteleuropea, e che per Machiedo non è semplicemente terra di passaggio ma, fin dagli anni del comunismo, un “oltre” dove alimentare la curiosità intellettuale. «Apologia della cultura e del pensiero», come ancora scrive Langella, Lancetta d’ombra sfida il più banale sentire comune tenendo la rotta, ben lontano dai facili sarcasmi, senza nulla concedere a quella tentazione autoreferenziale che spesso insidia le riflessioni d’autore e di cui un grande scrittore italiano dell’epoca d’oro ha dato la formula più felice: «indagazion[i]» che servono «più a esercitare gli ingegni che a trovare la verità».
Offrirne qui un florilegio, sia pure in minimi termini, tradirebbe la complessità dell’opera che va presa nell’insieme, come testimonianza importante di originalità di sentire. Non mancano i segni di un pessimismo non rancoroso, divenuto abito di pensiero e atteggiamento morale, con una sua propria angolatura che rimanda, altro terreno di competenza dello scrittore, a Montaigne e a La Rochefoucauld: «felici e infelici, i giorni trascorsi, sia pure con il prefisso contrario, ugualmente dimorano fuori della portata, nell’anticamera della finale eternità. E nient’altro è certo in questo travasamento di tristezza in tristezza» (qui siamo ancora in Linea sottile, ma in piena dimensione aforistica, nel febbraio del ‘12). Per altro, se «la storia corrode l’anima», dove si potrebbe mai trovare quel sostegno nell’eterno che salverebbe l’uomo dalla transitorietà? Il rifugio nella fede non è un approdo garantito da questi aforismi; forse un giorno verrà, e troverà spazio di parole. Per ora trionfa la tendenza corrosiva, il rammarico per l’uomo moderno che è soprattutto un homo politicus incapace di trascendersi in vir. Chi ragiona per schemi, suggerisce l’autore, finisce dritto in braccio alle aporie; ed è su questo terreno fangoso che Machiedo ama portare la piccola lucerna del paradosso: «quando la maggioranza sarà diventata minoranza, potrà – dopotutto – godere tutti i diritti relativi»; «quale sarà la differenza tra imprenditoria di ‘sinistra’ e di ‘destra’?»; «SILLOGISMO: l’antifascismo è positivo. ‘Hiroshima’ derivò dall’antifascismo. ‘Hiroshima’ è positiva?»; «Piccolo paese impantanato nell’ipertrofia della politicizzazione» (Machiedo si riferisce sicuramente alla Croazia, ma tutto ciò vale benissimo per lo Stivale), da completarsi con ciò che segue, dove si distilla il pensiero precedente: «Piccolo paese – grande livore». Provocazioni si dirà. Forse, ma salutari e fresche per agilità di pensiero. Perché, diciamolo, il senso dell’aforisma è proprio quello di smuovere il cervello dalle pigre abitudini di una logica unidirezionale e semplificata, senza pretendere tuttavia di fondare un nuovo, rigido, onnicomprensivo orizzonte di senso. Presa d’atto che, dentro l’informe modernità che ci avviluppa e ci corrompe, mostra la corda ogni ‘sistema’ del passato (ottimistico per definizione nella sua promessa di ‘magnifiche sorti’): «quando il populus diventa vulgus, allora perfino il ‘padre’ del proletariato Karl Marx non può che strapparsi la barba».
Concludo qui. Scorrendo gli aforismi di Machiedo ogni lettore potrà comporsi una piccola antologia personale, secondo gusti e convinzioni. Qualcosa gli piacerà, guadagnando il suo pieno consenso, qualche altra sarà per lui fastidiosa, ai limiti del dispitto. Poco importa, pensa l’aforista, la mia missione è compiuta.
Mladen Machiedo
Linea sottile
Lancetta d’ombra
Edizioni del Laboratorio, Modena 2019
- 75, euro 15,00