L’altro cielo di Ivan Crico

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Risalire alla forma pura e incontaminata della lingua

di Gianni Cimador

 

Ivan Crico, nato a Gorizia nel 1968, è una delle voci più significative della poesia dialettale contemporanea: la pubblicazione di L’antro siel del mondo/L’altro cielo del mondo (Lieto Colle, 2019, a cura di Elenio Cicchini, con una introduzione di Giorgio Agamben), premiato alla XVIII edizione del Premio Pascoli, che è ormai il “Campiello della poesia”, può essere considerata il momento culminante di un percorso iniziato oltre trent’anni fa, documentato nella sua progressiva e coerente evoluzione e fedele alla parlata di Pieris, il paese dove è vissuto fino al 2005 (attualmente risiede a Tapogliano), sfondo dei suoi testi sin da Ostane/Germogli di rovo (1989), e dove si parla un dialetto bisiacco sviluppatosi su un sostrato ladino e slavo.

Soprattutto a partire dal 1992 l’attività letteraria di Crico (che nello stesso anno si è laureato all’Accademia di Belle Arti), anche grazie allo stimolo di Amedeo Giacomini e Gian Mario Villalta, è diventata sempre più intensa, con interventi e collaborazioni sulle maggiori riviste italiane di poesia (Poesia, Lengua, Diverse Lingue, Tratti, Frontiera) e con l’ideazione, condivisa con Pierluigi Cappello, della collana “La Barca di Babele”, nata nel 1999 grazie al Circolo Culturale di Meduno e ad altre associazioni, che per alcuni anni ha cercato di valorizzare la nuova poesia del Friuli Venezia Giulia, ancora poco conosciuta ma di altissima qualità, quella di scrittori come Ida Vallerugo, Alberto Garlini, Amedeo Giacomini, Luigi Bressan, oltre a Crico e Cappello.

Dopo Piture (1997, a cura di Giovanni Tesio, per l’editore Boetti di Mondovì), Maitàni/Segnali di mare (2003, Circolo Culturale di Meduno, con prefazione di Antonella Anedda) e la raccolta Segni della Metamorfosi per le edizioni della Biblioteca di Pordenone (2007), nel 2008 è uscita la raccolta De arzent zu/D’argento scomparso per l’Istituto Giuliano di Storia e Documentazione di Trieste, scritto nel tergestino estinto parlato fino agli inizi dell’Ottocento, che segna già una piena maturità, siglata dalla vittoria, nel 2009, del Premio Nazionale Biagio Marin, il più importante in Italia tra quelli dedicati ai poeti dialettali.

Una conferma dell’assoluto rilievo di Crico erano stati già l’inserimento nell’antologia Tanche giajutis, curata da Amedeo Giacomini, che comprende i poeti più significativi nei dialetti e nelle lingue minori degli ultimi decenni del Friuli Venezia-Giulia, la presenza nell’antologia I colors da lis vos curata da Pierluigi Cappello (Associazione Culturale Colonos, 2006) e l’affermazione nel più rilevante concorso del Friuli Venezia Giulia dedicato agli idiomi locali italiani, il “Premio Giuseppe Malattia della Vallata”; di lui si sono occupati importanti studiosi italiani di poesia dialettale, come Franco Brevini, Giovanni Tesio, Franco Loi, Gianni D’Elia.

La scelta del dialetto, come nel caso di Pasolini che è un punto di riferimento imprescindibile, è strettamente legata a un paesaggio e alla necessità, avvertita maggiormente nelle terre di frontiera dove il bilinguismo è una condizione ‘naturale’ e dove è più forte la consapevolezza dei limiti di ogni lingua, di un rapporto diretto con le cose, attraverso una lingua interna a esse.

Come in Zanzotto, per il quale il dialetto è un luogo originario dove “si tocca con la lingua il nostro non sapere di dove la lingua venga, nel momento in cui viene, monta come il latte”, anche in Crico c’è la tensione verso una forma pura e incontaminata della lingua, come reazione alla diffusa omologazione linguistica, e si risolve nella creazione di un’altra lingua, nello stesso tempo viva e morta, perché recupera vocaboli desueti e scomparsi, va al di là della sua stessa identità grammaticale.

Il dialetto diventa così, sempre in senso pasoliniano, “traduzione ideale” dell’italiano, “metafora”, intensificazione, e nel bilinguismo emerge l’essenza della poesia, ovvero, come osserva Brevini, «la onnivora possibilità di ogni poesia di nominare le forme indipendentemente dalla tradizione e dall’uso della lingua»: in questo senso, in Crico si fondono il lavoro del poeta e quello del pittore, anche per la sua tensione a creare, con le parole, una metafisica della realtà, una perfetta corrispondenza tra lo sguardo e le cose, colte spesso in una sospensione rarefatta, che ricorda le atmosfere della poesia di Mario Benedetti, con il quale Crico condivide anche la suggestione di una perduta unità mitica fra storia e infanzia, che ha lasciato un irreparabile senso di mancanza, di vuoto esistenziale che avvolge oggetti e paesaggi, motivo ricorrente in modo quasi ossessivo nei testi del poeta di Pieris.

Hölderlin, Rilke, Celan, Char, Donne e Kavafis sono i poeti stranieri che più hanno influenzato Crico, mentre tra gli italiani il poeta sente vicini soprattutto Leopardi, Montale, e di quest’ultimo ricorda la poetica del correlativo oggettivo, per cui cose e atmosfere si caricano di valenze simboliche, amplificate dal silenzio e dalla estrema rarefazione visiva.

L’esergo di Cristina Campo posto all’inizio di Maitàni/Segnali di mare («E che altro veramente / esiste in questo mondo / se non ciò che non è / di questo mondo?») descrive l’approccio di Crico con la realtà, accompagnato spesso dal senso tragico del tempo che passa, dall’attesa del miracolo e della rivelazione di un altro mondo, che inevitabilmente non si realizzano, ma alimentano l’immaginazione e stimolano il poeta a scendere sempre più in profondità dentro se stesso, attraverso la metamorfosi delle cose, e a cercare la salvezza in uno sguardo innocente.

Gli approdi più recenti della poesia di Crico, quelli di Seràie/Reti (2018), segnalano la ricerca di strade nuove: da una poesia di cose e atmosfere trasfigurate, che per molti versi rimanda a Pascoli, il poeta passa a una serie di ritratti, ispirati anche dall’attualità, di personaggi segnati dalla sofferenza e dalla diversità, spinto sempre dalla stessa esigenza di stabilire un contatto diretto, senza falsificazioni, con la realtà, e di trovare in questo contatto il senso più autentico dell’umano, ma in modo più vigoroso, quasi con l’urgenza di lasciare una testimonianza e restituire dignità a un dolore che sembra insensato.

 

 

Ivan Crico

L’antro siel del mondo

Lieto Colle, Faloppio (CO) 2019

  1. 240, euro 13,00