La poesia “apolide” di Mary B. Tolusso

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Con le liriche di Apolide Tolusso cerca di coniugare in modo nuovo l’arte con la vita e dare nuova linfa al corpo morto della poesia attraverso le verità scabrose del vissuto

Gianni Cimador

 

«Ha bisogno di staccarsi / per poter vedere»: questi due versi di L’avevano visto sul ciglio della strada descrivono bene l’essenza di Apolide, terza raccolta poetica di Mary B. Tolusso, pubblicata da Mondadori nella collana “Lo specchio. Poeti del nostro tempo” (2022), che comprende liriche inedite e poesie già apparse in L’inverso ritrovato (LietoColle, 2003) e in Il freddo e il crudele (Stampa2009, 2012).

Se, da un lato, l’assenza di radici e la fluidità esistenziale (evidenziata anche dalla scelta di vivere fra Milano e Trieste, e da quella di muoversi in modo disinvolto tra letteratura e giornalismo) sono la cifra dell’identità dell’autrice e del suo punto di vista sul mondo, dall’altro l’osservazione quasi maniacale della realtà e la tensione a raggiungere il vero attraverso la concretezza dei luoghi (soprattutto case, interni) e la materialità del corpo, la portano a cercare sempre un rapporto ravvicinato con le cose, a vivisezionare l’umano, a rappresentarne la grazia sincopata e ossimorica, senza filtri idealizzanti o moralistici: l’esito è, in un paragone con la pittura, non solo di Hopper ma anche di Bacon o di Schiele, una poesia iperrealista che, tuttavia, nella dimensione ‘materica’ dell’esistenza riesce a trovare uno slancio visionario, alimentato da uno sguardo inquieto, eccentrico, desacralizzante.

Si adattano a Tolusso le parole con cui Marco Forti descrive la poesia di Maurizio Cucchi, la cui specificità si colloca «nella prosasticità e riduttività di un dettato che, pur legato oggettivamente e fin veristicamente alle cose, ha poi saputo coglierne la spinta interiorizzata verso un linguaggio personale, una sintassi subito implicita e come deflagrata»: Cucchi è uno dei principali riferimenti di Tolusso, insieme a Giovanni Raboni, Federica Gullotta, i Baustelle, Wisłava Szymboska e Marcel Proust a cui è dedicata le sezione “Inverso ritrovato”. Siamo quindi in un orizzonte molto ampio ed eterogeneo, letterario, musicale e figurativo, con una forte influenza del pensiero di Michel Foucault e Gilles Deleuze.

Per Cucchi ciò che caratterizza la poesia di Tolusso è «il rigore intellettuale acuto, a volte persino capace di passare dall’ironico al beffardo, con il quale l’autrice ci consegna una sua particolare analisi e testimonianza del senso dell’esistere. Un senso che sembra dominato, peraltro, dalla presenza del corpo, reiterata e a volte quasi oscena nella sua ineluttabilità»: la poesia diventa esperienza fisica, null’altro può salvarci se non il corpo e la sua immediatezza, la sua primordiale vitalità, sempre sospesa tra ordine e caos («Spoglio com’è d’ogni bene, nulla è più concreto / del corpo. […] Non ha un sentire obliquo / il corpo ma tessuti, muscoli, ossa, la consistenza / elementare della fine dove non potrai riscattarti dal sonno»).

Nel gioco di avvicinamento e di ripulsa lucida nei confronti della vita, nell’apparente freddezza dei toni, nella volontà di liberarsi dalla soggettività per approdare a uno sguardo esterno che si cali nelle contraddizioni dell’esistenza e le affronti senza pregiudizi o eccessivi coinvolgimenti emotivi, Tolusso rivela una postura poetica anomala nella tradizione italiana, che ricorda quelle di Valentino Zeichen o Mario Benedetti, altrettanto impressionistici e iperricettivi, interessati a immagini dissonanti, lontani da atteggiamenti enfatici e sentimentali. Si tratta di un realismo molto particolare: per Tolusso «La vita mica è una questione di cuore», nella volontà di guardare in faccia la realtà e di immergersi in essa si rivelano i limiti del linguaggio («la cosa oscena, / è la parola che manca») che fatica a ricomporre in unità i frammenti sparsi dell’esistenza, anche se dal faticoso lavoro di tale ricomposizione derivano oggetti pieni di poesia, per quanto imperfetti e stranianti, in cui prende forma una nuova concezione del Sublime.

Anche per Tolusso, come per Montale, la Storia vive negli anfratti, negli interstizi, nei vuoti, ai quali l’autrice aderisce, con un desiderio di ridursi “chimicamente” all’essenziale, alla semplicità elementare di dati concreti, figure umane, animali, sospendendo ogni ricerca di senso metafisica («Separare il corpo conduttore, trattenere solo il plasma, / declinarlo al vocativo / naturale»): non ci sono infatti, in questa prospettiva, verità assolute né ‘miracoli’ montaliani, «la verità è una cosa indecente», ogni idea troppo vincolante finisce per essere un «copione che non conosco». E indecente, ma per questo supremamente vera, è la fragilità del corpo, la sua mortalità («Nessuna religione / aiuterà il danno dei vivi, feroce o silenziosa / nessuno potrà sottrarsi alla rovina»).

La poesia diventa quindi un antidoto contro le facili illusioni e le speranze a buon mercato, invita ad abbandonarsi alla casualità del Presente, trovando in essa una sorprendente leggerezza: «è meglio liberarsi con grazia, credimi / nella felicità casuale degli atomi». Si tratta di rivalutare i sensi, «spezzare/la ragione, andare pazzi per la gioia, assolvere / la misura del noto»: è possibile così entrare in contatto con la sostanza più autentica delle cose.

Espressione di questo atteggiamento epicureo è anche la fusione di corpo e parola in una scrittura che è trasparente e, nello stesso tempo, metaforica e che cerca di andare oltre le apparenze ingannevoli del reale attraverso sussulti sintattici, enjambement insistiti, nessi arbitrari ed ellittici, deviazioni improvvise che trasferiscono i dettagli quotidiani in una dimensione straniata, distorcendo ciò che può sembrare ovvio e familiare, smascherando i travestimenti e le illusioni.

Da un punto di vista stilistico, Apolide è un libro composito e, pur nella sua struttura rigorosa, fuori dagli schemi, non solo per l’alternanza di prosa poetica e versi, ma anche per l’oscillazione continua tra un tono drammatico, recitativo, e la tendenza all’understatement, a una poesia senza posa, piana, colloquiale, capace, comunque, di produrre suggestioni, a livello mentale più che emotivo, con immagini taglienti, icastiche, che infrangono l’opacità della vita quotidiana e ne evidenziano, con una ruvida ironia, la paradossalità (come quella della “famiglia cuore” in Passo di stanza in stanza: «È un quadro orribile / ma è una storia bellissima»).

Con le liriche di Apolide Tolusso cerca di coniugare in modo nuovo l’arte con la vita e dare nuova linfa al corpo morto della poesia attraverso le verità scabrose del vissuto, sottoponendolo a torsioni che liberino nuove potenzialità espressive ed evitando, con una scrittura costruita per sottrazione emotiva, densa e netta, e con una perentorietà espressiva che può sembrare troppo diretta e a volte quasi violenta, i rischi della retorica e di ogni sentimentalismo.

Viene rilanciata così, in senso brechtiano, la funzione della parola poetica che non deve consolare né rassegnarsi ad avere un ruolo ‘epigonale’, ma vuole scuotere il lettore, mostrargli in modo intransigente «la falsità / delle eccedenze», anche attraverso il senso di precarietà e di estraneità del soggetto lirico che valica i confini della normalità e di ciò che viene ritenuto lecito rappresentare, trasformando la propria eccentricità in una chiave di volta per capire la realtà, con la consapevolezza che «nulla è sacro per chi pensa, / sintesi audaci, ricerche provocanti, manipolazione viziosa di temi scabrosi».

 

Mary Barbara Tolusso

Apolide

Mondadori, 2022

  1. 112, euro 16,00

 

Foto:

Mary B. Tolusso

foto di Dino Ignami