La pittura di Elvio Zorzenon

| | |

In una mostra a Trieste il ricordo di un artista generoso di spunti poetici

di Enzo Santese

 

Una mostra personale, voluta e promossa dai suoi amici Giorgio e Simonetta Zucco presso la Galleria “Hermetika” di Trieste, sollecita a illuminare i contorni di una personalità dell’arte regionale che ha espresso la cifra di un’originale orbita evolutiva. Elvio Zorzenon, nato ad Aquileia nel 1939, morto a Palmanova nel 2016, pittore di talento e poeta del colore, ha con il capoluogo giuliano un rapporto privilegiato a cominciare dalla frequentazione dell’Istituto d’arte “Umberto Nordio” dal 1957 al 1962, dove entra in contatto con rilevanti artisti contemporanei, come Miela Reina, Enzo Cogno e Bruno Chersicla. L’atmosfera di rinnovamento, lo slancio a una libertà espressiva inconsueta vengono da lui colti nel gruppo “Arte Viva”, l’associazione fondata da Carlo de Incontrera, dove artisti, fotografi, musicisti si incontrano nel tentativo di ravvivare la ricerca culturale su basi contemporanee. La contiguità con questi personaggi è una straordinaria occasione per cogliere numerosi suggerimenti e dare corpo ad altrettante suggestioni in una ricerca scandita da diversi eventi espositivi. Zorzenon si dedica alla pittura in un fervore che privilegia per lunghi periodi anche la specificità dell’affresco; il suo itinerario è punteggiato da mostre significative che danno di volta in volta la temperatura di una passione mutuata dalla poetica della Reina e di una disciplina razionale, desunta dal fascino dell’opera di Cogno.

Chi gli fa visita nel suo studio di Fiumicello, raggiungendolo in un percorso a ostacoli nel giardino “fiorito” di mille oggetti ammonticchiati alla rinfusa, ha la percezione di un’attività frenetica che, oltre ad essere un’urgenza estetica, è una sorta di analgesico rispetto alle sofferenze esistenziali. Eppure c’è nelle sue opere un canto disteso e talvolta urlato alla natura, alla bellezza e alle magie della vita. La tela evidenzia la capacità di indagare nelle pieghe più segrete del mondo fisico per trarne quei segnali da disporre poi sulla superficie ricomponendo un’idea fantastica della realtà. Nella personale alla Galleria “Alla Quercia” di Ronchi dei Legionari (1976) la composizione ruota su alcuni nuclei figurali immersi in uno spazio teso tra volontà di racconto e slancio evocativo. La pittura viaggia tra le testimonianze di reperti archeologici che per lui, nato in una città ricca di documenti e tracce di un nobile passato, sono elementi consueti di un paesaggio fisico e spirituale. La superficie dipinta talvolta sembra contenere inserti che richiamano alfabeti antichi, recuperati in un contesto capace di costituire il nocciolo dell’avventura creativa. Nella mostra del 2000 presso la Galleria della Torre della Cassa di Risparmio di Gorizia, i dati riconoscibili della realtà cominciano a sfaldare i propri contorni dentro una congerie di segni che lasciano peraltro trasparire alcune pur minime allusioni iconiche. Il paesaggio è comunque il tema più frequentato ed è inteso come lo spazio, dove si sviluppa quella comunicazione affettiva intensa tra il soggetto creante e l’ambito in cui matura e cresce la sua opera. Questa si rivela un libro con le pagine continuamente aperte sulla natura e sul mondo quotidiano, trasposta in una dimensione fuori dal tempo: fabbriche, animali acquari, nature morte, soggetti sacri soprattutto prelevati dalla devozione popolare, inserzioni epistolari, dove le parole sono lì a determinare il ritmo della composizione più che a rimandare a precisi significati connessi con il motivo ispiratore.

 

La fedeltà al reale e il fascino dell’astrazione

 

L’artista avverte forte e intenso il fascino per l’astrazione, ma la sua matrice resta figurativa; quando l’immagine perde le connotazioni di leggibilità, assume quelle di mille rimandi significanti, che sono riferiti alla realtà autobiografica e, quindi, esistenziale.

Nella mostra presso l’Ospedale di S. Maria dei Battuti di San Vito al Tagliamento (2005) si registrano altri elementi di novità nella poetica dell’artista: la sua sensibilità prospetta anche i colori, gli umori e le atmosfere della bassa pianura friulana, della laguna gradese, e poi li interpreta liberamente sulla superficie, facendo leva soprattutto sul rosso, il giallo e il blu che nella combinazione con il bianco e il nero creano scansioni spaziali, come preludi a fasi metamorfiche con cui la natura offre ai nostri occhi una serie infinita di variazioni cromatiche. La partitura dello spazio è disposta a moltiplicare gli effetti della propria dimensione e gli stimoli culturali derivati dal cubismo entrano nella sintesi prodotta da Elvio Zorzenon, che fonde luminosità e corpo della pittura: un reticolo di linee solca la pagina dipinta e sembra imbrigliare una situazione che l’artista vuol fissare sul piano inglobandola nella dinamica di un colore strappato all’iride e alle tonalità di un’acqua limpidissima, mutevole in rapporto al fondale di contenimento. Il quadro esibisce una trama di segni giocati fra addensamenti, intersezioni, tratteggi che creano definizione di campi cromatici dai toni screziati negli approdi della trasparenza e della sovrapposizione.

Nelle mostre personali alla Galleria Comunale di Monfalcone del 2006 e alla Polveriera Napoleonica di Palmanova del 2008, la pittura ha palpiti interni che la muovono verso un mondo di materie biologiche, di luoghi primordiali capaci di trasmutare continuamente dallo stato solido allo stato liquido con approdo finale a una cristallizzazione, come è tipico di immagini agghiacciate e definitive. L’effetto cangiante di alcune velature porta il fruitore a spostare lo sguardo verso nuovi centri nevralgici dell’opera, da cui trovare sempre ulteriori combinazioni di spazialità all’interno del quadro.

Il quadro esibisce una trama di segni giocati fra addensamenti, intersezioni, tratteggi che creano definizione di campi cromatici dai toni screziati negli approdi della trasparenza e della sovrapposizione. L’effetto cangiante di alcune velature porta il fruitore a spostare lo sguardo verso nuovi centri nevralgici dell’opera, da cui trovare sempre ulteriori combinazioni di spazialità all’interno del quadro. Il tutto sembra teso in tal modo a fossilizzare il presente a futura memoria, affidando alla considerazione del tempo il ruolo concettuale trainante nella composizione. Le tinte sono fatte brillare di un’intensità che accende bagliori di realtà di fronte all’occhio e lo cattura in un percorso labirintico, dove minimi rilievi figurali (solitamente i pesci o gli uccelli) sono incastonati in un magma, raffrenato da un processo di solidificazione istantaneo, come se questo esito fosse stato preceduto da un sommovimento ipogeo che, sconvolgendo terra e mare, ha trasfuso gli elementi dell’uno nell’altro. L’impianto grafico è generoso di segni lineari che producono intrichi di traiettorie, lungo cui si sviluppa il senso del dipinto e offre allo sguardo una larga messe di punti d’osservazione per un’avventura della fantasia.

 

La suggestione della forma e l’evocazione della materia

 

Nella mostra personale del 2012 presso la Sala Comunale d’Arte di Trieste, la superficie dipinta di Elvio Zorzenon vibra per una tessitura che è fatta da un impianto calibrato di segni, una specie di griglia alla quale si rapporta il contributo cromatico giocato su una gamma vastissima di esiti: dalla stesura corposa e densa alla campitura velata in trasparenza. Gli elementi figurali – che ogni tanto fanno capolino da una superficie brulicante di tracce d’energia – , quando sono leggibili, riportano quasi tutti al motivo della storia scritta nelle evidenze di oggi, nei riscontri fossili, che consentono un viaggio a ritroso per cogliere la fragranza piena dell’esistente anche attraverso la successione di fasi naturali di nascita, crescita e morte. Nell’eterna legge di natura si consuma la vicenda di esseri e cose, affidata a una pittura che, per sua connotazione costitutiva, è pulsazione, battito, dinamismo di superficie come indizio di vitalità nel profondo. La figura – abbastanza esplicita nella prima fase di composizione – è a volte un pretesto per accorpare attorno a un centro generatore il senso di una visione attivata dalla memoria e dalla fantasia: lo spazio dell’acquario, in cui fluisce la vita di un mondo ancora misterioso, funziona da emblema di una porzione di cosmo, nel quale tutto soggiace alla regola di un ordine armonico. Anche quando la poetica sembra declinare decisamente verso l’astrazione, il piano dipinto rivela quasi sottopelle delle presenze che paiono emergere da un momento all’altro nella loro completezza anatomica; gli esiti figurali e quelli astratti sono in realtà due componenti libere di scambiarsi reciproche illusioni, sono matrici culturali e di sensibilità ugualmente vigorose nella concezione costruttiva di Zorzenon, che sa attenuarne i contorni espressivi con un incisivo lavoro di sintesi. La superficie si afferma come uno spazio interiore, dove i segni non si collocano semplicemente in un ordine precostituito, ma accadono come fossero tanti piccoli eventi visivi capaci di comporre e scomporre la realtà a cui rimandano.

La suggestione della forma e l’evocazione della materia sono due linee convergenti nel medesimo slancio creativo. Il gusto per una sorta di disciplina geometrica, che governa l’opera in filigrana, è dato anche dalla necessità di definire lo spazio in porzioni ben precise, urgenza che modera il gesto dell’artista e lo coinvolge nel suo reticolo. C’è un respiro interno a questi lavori che muove la pittura verso un mondo di luoghi primordiali, di memorie biologiche che passano dallo stato solido a quello liquido e infine diventano immagini cristallizzate e definitive, una sorta di fossili appunto, in cui l’artista irrora la luce del presente per riportarli a nuova vita.