Il genio e il sovrano
Il Ponte rosso N° 71 | luglio 2019 | Luigi Cataldi | MUSICA
Vivaldi suonò per l’imperatore Carlo VI a Lipizza
di Luigi Cataldi
La statua dell’imperatore Carlo VI dall’alto della sua colonna di marmo campeggia ancora oggi in piazza Unità a Trieste in ricordo della visita del 1728. L’omaggio cittadino era giustificato. Fu lui, come è noto, ad istituire il porto franco, a far di Trieste la sede della Imperial Privilegiata Compagnia Orientale, ad avviare la costruzione di un grande arsenale nell’area precedentemente occupata dalle saline e ad allargare e risistemare la strada che da Vienna, attraverso i passi del Semmering (fra Vienna e Graz) e del Loibl (fra Klagenfurt e Lubiana), conduceva ai porti franchi di Trieste e Fiume.
Passando proprio per quella strada nel 1728 l’imperatore, accompagnato da una parte cospicua della sua corte, venne ad osservare l’avanzamento delle opere da lui intraprese e a ricevere l’omaggio dei sudditi. Partì da Graz il 16 agosto del 1728 e vi fece ritorno il 20 settembre. Nel viaggio toccò Klagenfurt (20-24 agosto), Lubiana (26-30 agosto), Gorizia (3-7 settembre), Trieste (10-13 settembre) e Fiume (15-18 settembre).
Meno noto è che si trattò anche di un viaggio musicale, sia perché ognuna delle numerose cerimonie previste era accompagnata da musica, sia perché il sovrano aveva al suo seguito gran parte dell’orchestra della corte imperiale (almeno una ventina di musicisti), guidata dal vice maestro di cappella Antonio Caldara.
A Trieste, tappa fondamentale del viaggio, Carlo VI venne raggiunto da una delegazione di ambasciatori della Repubblica di Venezia guidata da Andrea Cornaro e Pietro Capello giunti in città il 9 settembre. Anche con loro viaggiava un’orchestra, meno numerosa ma più originale, guidata da Antonio Vivaldi. L’incontro fra il sovrano e il musicista era noto da tempo da una corrispondenza che l’abate Antonio Conti (1677-1749), fisico, matematico, storico, filosofo e letterato padovano, tenne con la contessa di Caylus (1671-1729), oggi pubblicata a cura di Sylvie Mamy presso Olschki.
Il 19 settembre 1728 Conti, le cui informazioni vengono dagli ambienti degli ambasciatori veneziani, scrive alla nobildonna: « […] l’imperatore ha donato molto denaro a Vivaldi insieme a una catena e una medaglia d’oro». Il 23 settembre aggiunge: « […] l’imperatore ha parlato lungamente di musica con Vivaldi. Si dice che abbia parlato più con lui in due settimane che con i suoi ministri in due anni. La sua passione per la musica è assai violenta».
Eppure le copiose fonti ufficiali di questo celebratissimo viaggio non recano traccia della presenza di Vivaldi. La ragione è che l’incontro si svolse in forma privata il 9 settembre a Lipizza, luogo ideale per le due grandi passioni del sovrano: musica ed equitazione. In quello stesso anno l’imperatore aveva acquistato una nuova tenuta per l’allevamento dei cavalli della Scuola di equitazione spagnola viennese di Lipizza e ora veniva a vedere l’avanzamento dei lavori da lui stesso ordinati. Fu lì che, a cena, egli ascoltò Vivaldi e la sua orchestra. Lo ha scoperto di recente Jóhannes Ágústsson fra i documenti conservati nell’Archivio di Vienna (Zu Lippiza den venetian:
Ersten Musico eine Medalie: Vivaldi meets Emperor Charles VI, 9 september 1728, in Studi Vivaldiani, 14, SPES 2014). Ecco il passo (in traduzione) che lo conferma: «In questo luogo l’ispettore della scuderia imperiale, il conte Heinrich von Orzzon, attuale consigliere imperiale privato, ciambellano e vicegovernatore della Carniola, per mostrare la sua più umile devozione a Sua Maestà Imperiale &c. &c., durante una lunga cena, ha presentato un gruppo di virtuosi fatti venire da Venezia che con la loro abilità musicale hanno procurato a sua maestà imperiale &c. &c. il più grazioso piacere».
Sembra insomma una sorta di sorpresa fatta dal conte Orzzon al sovrano. Una sorpresa molto gradita a giudicare da ciò che scrive l’abate Conti. L’orchestra doveva essere composta dai musicisti necessari per eseguire il gruppo di concerti (oggi conservati manoscritti a Vienna anche se privi del fascicolo del primo violino) che Vivaldi portò in dono all’imperatore e che eseguì quella sera a Lipizza, la cosiddetta seconda Cetra (la prima, l’op. IX, a stampa, era stata pubblicata nel 1727 con lo stesso titolo e lo stesso dedicatario). I musicisti, che è possibile si siano esibiti anche in altri momenti delle cerimonie triestine, dovevano essere una decina. Il loro nome non ci è giunto, ma è certa la presenza di Giovan Battista Vivaldi, padre di Antonio, suo unico maestro, violinista eccelso quanto il figlio e suo collaboratore nelle imprese musicali per tutta la vita. A conferma delle informazioni dell’abate Conti, nell’elenco (conservato fra la contabilità a Vienna) dei regali fatti durante il viaggio, vi è anche una medaglia del valore di 20 ducati per l’«erster Musico» dei veneziani, che non può che essere Vivaldi. Se poi, come sostiene Conti, il colloquio costante con l’imperatore durò due settimane, si deve anche supporre che Vivaldi lo abbia seguito nella tappa fiumana del viaggio e che sia rientrato a Venezia separatamente dagli ambasciatori veneti.
Non sono però i doni le conquiste più importanti ottenute da Vivaldi. Egli si trovava in un difficile momento della sua carriera. La satira di Benedetto Marcello, Il teatro alla moda (1720) rivolta principalmente contro di lui, aveva messo in serie difficoltà la sua attività di operista e impresario d’opera a Venezia. Vi aveva sopperito rappresentando opere fuori dalla Serenissima e cercando nuovi committenti soprattutto fra i nobili dell’Impero. Al servizio di uno di loro, Filippo d’Assia Darmstadt, governatore imperiale di Mantova, era già stato per due anni (1718-1720) come maestro di cappella da camera. È certo inoltre che molte commesse gli vennero dagli ambasciatori imperiali a Venezia. Ecco che l’incontro di Lipizza e di Trieste lo mette finalmente in contatto con Carlo VI in persona e con una parte, ristretta ma importante, della corte imperiale. Oltre al sovrano egli conosce a Trieste Joseph Johann Adam principe del Liechtenstein (25/5/1690-16/12/1732, fra il 1721 e il 1732 e consigliere privato di Carlo VI) e Francesco Stefano duca di Lorena (Nancy, 8/12/1708-Innsbruck, 18/8/1765): del titolo di loro servitore si fregerà negli anni a venire. È poi probabile che siano state le relazioni intrecciate a Trieste a permettere il viaggio fatto insieme al padre a Vienna dall’autunno del 1729 alla primavera successiva (dove di certo incontrò i nobili sopra citati e forse anche l’imperatore) e quello in Boemia dall’inizio del 1731 fino alla primavera di quello stesso anno, un viaggio importante che consoliderà l’affermazione dell’opera italiana, e delle opere vivaldiane in particolare, in quella parte dell’impero.
«Ho l’onore di carteggiare con nove Principi d’altezza, e girano le mie lettere per tutta l’Europa» scrive Vivaldi nel 1736 al marchese Guido Bentivoglio di Ferrara in una celebre lettera apologetica. Lungi dall’essere vuota presunzione o, peggio, manifestazione di servilismo, le relazioni con i nobili sono indispensabili per un «franco imprenditore» come Vivaldi (egli si definisce così in un’altra lettera a Bentivoglio), che dipende dalla committenza dell’aristocrazia e che non è al servizio stabile di nessuno. Una parte di queste relazioni si deve insomma all’esibizione di Lipizza del 9 settembre 1728.
Anonimo
Antonio Vivaldi
(ritratto presunto)
circa 1723
Bologna, Museo internazionale
e biblioteca della musica