IL GENERALE DELLA ROVERE TRA FINZIONE E VERITÀ

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di Stefano Crisafulli

 

 

Alla mostra del cinema di Venezia del 1959 il Leone d’oro fu assegnato ex-aequo al film di Mario Monicelli La grande guerra e a quello di Roberto Rossellini Il generale Della Rovere. Tutti si ricordano, probabilmente, del capolavoro di Monicelli, mentre il film di Rossellini sembra caduto nell’oblio. Le ragioni, secondo me, sono due: la prima è che Il generale Della Rovere è sempre stato considerato un’opera minore di Rossellini, a confronto con le bandiere del neorealismo Roma città aperta e Paisà; la seconda è che forse non è stato giustamente valutato. Si è detto che era un film su commissione, un mero esercizio di stile estraneo al discorso neorealista. Ma a questa critica potrebbe rispondere lo stesso Rossellini, che una volta disse: ‘Il realismo, per me, non è che la forma artistica della verità. Quando la verità è ricostituita, si raggiunge l’espressione’. Ebbene: Il generale Della Rovere raggiunge la verità, non più, come nei primi lavori, attraverso la spontaneità e l’aderenza al reale, ma ricorrendo alla moltiplicazione abissale delle finzioni filmiche.

Il personaggio principale, d’altronde, interpretato da un Vittorio De Sica in stato di grazia, è già un campione di falsità: Emanuele Bardone si spaccia per il colonnello Grimaldi e, in una Genova occupata dai nazisti, cerca di ottenere la liberazione dei detenuti politici corrompendo un ufficiale tedesco con i soldi dei parenti, che però, spesso, si tiene per sé, perdendoli al gioco. Mai De Sica aveva interpretato un ruolo così abietto e biasimevole, tanto da risultare antipatico: non solo Bardone è un truffatore che si approfitta del dolore altrui, ma, quando viene scoperto e messo alla berlina dal (vero) colonnello nazista Müller, ha la faccia tosta di giustificarsi di fronte ai parenti, dicendo che ‘voleva solo fare del bene’. Il punto è che Bardone alla sua recita ci crede e, grazie alle sue notevoli doti attoriali, sembra così convincente che Müller decide di utilizzarlo come spia. Lo manda al carcere di San Vittore nei panni del generale badogliano Della Rovere (ucciso dai nazisti) per scoprire i gangli della resistenza. E in questa seconda parte del film ci sarà la grande trasformazione di Bardone, che, alle prese con la sofferenza reale del carcere, si identifica sempre di più col personaggio che deve rappresentare sino al sacrificio finale, quando viene fucilato assieme agli altri partigiani per non aver rivelato le informazioni richieste. Da notare il gioco abissale di finzioni: De Sica (attore) impersona Emanuele Bardone che, a sua volta, prima recita la parte del buon colonnello Grimaldi e poi quella, sotto mentite spoglie, del generale Della Rovere. Quest’ultima sarà un’identificazione totale, che porterà l’ex truffatore e spia Bardone al riscatto conclusivo. Non è un caso che Il generale Della Rovere sia uno dei film preferiti del filosofo sloveno Zizek, che, in un’intervista, aveva affermato: ‘L’unica autenticità è impersonare in modo autentico un ruolo’.