IL FESTIVAL DI TRIESTE
Luigi Cataldi | MUSICA | sOCIETà DEI cONCERTI
IL FESTIVAL DI TRIESTE
La prima edizione ha offerto concerti di qualità in ambiti diversi della città
di Luigi Cataldi
La prima edizione del Festival di Trieste ha mantenuto le promesse. Ha offerto concerti di qualità in ambiti diversi della città ed ha avuto il favore del pubblico. Un buon viatico per la prossima stagione della Società dei Concerti, che nel frattempo è stata presentata. Ecco intanto le impressioni su alcune delle esibizioni del festival.
Teatro Verdi, 5/9/2023: Jordi Savall e Hespèrion XXI
Jordi Savall e Hespèrion XXI
«Cantare e suonare insieme non solo a scuola, ma anche prima, da bambini, insegna a ascoltarsi reciprocamente e a rispettarsi: è il fondamento della società civile», ha risposto Jordi Savall a chi, durante la presentazione che ha preceduto il concerto, al Ridotto del Verdi, gli chiedeva dell’importanza della musica a scuola. Da ciò si comprende il valore sociale oltre che artistico della musica che egli esegue. Da questo atteggiamento deriva anche il successo ottenuto in oltre mezzo secolo di carriera, con i gruppi a cui ha dato vita (oltre a Hespèrion, La Capella Reial de Catalunya e Le Concert des Nations), sia come virtuoso di viola da gamba, con numerosissimi concerti ogni anno, sia come direttore (memorabili, per tacer d’altro, una sua versione dell’Orfeo monteverdiano con La Capella Reial de Catalunya del 2015 e l’integrale delle sinfonie beethoveniane con Le Concert des Nations del 2020), sia come scopritore e revisore di musica antica, sia come didatta (fino al 1993 in conservatorio, poi in numerose accademie e masterclass), sia come editore musicale con l’etichetta discografica da lui fondata, Alia Vox.
A Trieste Savall si è esibito con Hesperion XXI, gruppo da lui fondato nel 1974, vocato alla musica medievale e rinascimentale, per l’occasione in formazione essenziale di trio, composto oltre che da Jordi Savall, da Andrew Lawrence-king, uno dei più apprezzati interpreti di musica antica, virtuoso di arpa, fondatore e direttore di The Harp Consort, ensemble specializzato in opere liriche e musica strumentale antica, e da David Mayoral, virtuoso di percussioni, con all’attivo collaborazioni con prestigiose formazioni di musica antica (fra le altre L’Arpeggiata), etnica e orientale. Il concerto ha offerto un campionario, cronologicamente ordinato, di mezzo secolo di attività.
Il titolo, Folías, romanescas & canarios, circoscrive, fra le possibili forme strumentali, quelle che hanno avuto origine, spesso in ambito popolare, dalla danza e altrettanto spesso, sono state rivisitate in ambito colto. Le musiche eseguite presentano due caratteri fondamentali: il basso d’accompagnamento e la “glossa”. L’uno ripete una sequenza fissa di note (il basso continuo), ma le armonizza con fantasia all’improvviso; l’altra abbellisce con estro la melodia. L’esecuzione implica dunque una grande capacità di improvvisazione che rinnova la musica ad ogni concerto. Maestri in quest’arte, che coniuga rigore filologico e fantasia esecutiva, si sono mostrati i tre interpreti fin dall’esordio con la musica di Diego Ortiz (Toledo 1510?-Napoli 1570?). Dal Tratado de glosas (Roma 1553), originalissimo, ma a prima vista arido libro di “glosse” per gli archi, stampato in caratteri mobili, Jordi Savall ricava una vivace improvvisazione sulla melodia delle danze della Follia, dei Passamezzi (antichi e moderni), dell’Aria di Ruggero e della Romanesca, accompagnato dal basso continuo improvvisato con sicurezza e fantasia dall’arpa di Andrew Lawrence-King e dalle ricche, varie, ma discrete percussioni di invenzione di David Mayoral. Sicuri ed estrosi i momenti solistici della viola da gamba e dell’arpa, bellissime le improvvisazioni d’insieme, senza alcuno sfoggio di virtuosismo, ma con gusto, profonda esperienza e consolidata intesa: la Guaracha (danza vivace di origine cubana popolare in Spagna), le Diferencias sobre las Folías di Antonio Martin y Coll (1660?-1734?), il Canario (danza vorticosa originaria delle Canarie) e la Gagliarda napolitana di Antonio Valente (1520-1580).
Il pubblico, che ha riempito buona parte del teatro, ha applaudito entusiasta e ottenuto due bis.
Percorso “Musica in città”. Auditorium RAI, 7/9/2023: Eva Miola (violino)
Eva Miola
Eva Miola, classe 1999, si è formata al Conservatorio di Udine, ha seguito corsi di perfezionamento al Conservatorio di Klagenfurt, all’Accademia di Imola e alla Scuola di Musica di Fiesole; attualmente è allieva della prof. Mustea al Conservatorio Tartini. Ha suonato, oltre che come solista e in formazioni giovanili cameristiche, nell’Orchestra Nazionale dei Conservatori, nell’Orchestra Giovanile Italiana, sotto la direzione, fra gli altri, di Daniele Gatti.
La giovane violinista ha presentato con chiarezza e semplicità le composizioni prima di eseguirle. Ha detto di aver voluto rendere omaggio a Bach, centrale nella sua formazione, scegliendo sia la Partita n. 1 in si minore BVW 1002, sia la Sonata n. 2 solo op. 27 di Eugène Ysaÿe (Liegi 1858 – Forest 1931), visto che quest’opera del padre della moderna tecnica del violino è, per le esplicite citazioni e per lo stile di alcune parti, un omaggio a Bach.
Eva Miola ha eseguito senza sbavature e con espressività e sicurezza crescenti la Partita in si minore ed ha ben reso il carattere introverso e parossistico della Sonata n. 2 di Ysaÿe in cui l’ossessione non è solo del Preludio (“Obsession”), ma di tutta la composizione, nella quale ricorre, angoscioso, il tema gregoriano del Dies irae, che spesso interrompe le citazioni bachiane e conferisce anche ad esse un carattere angoscioso (primo movimento), oppure (secondo tempo) volge in sgomento la “Malinconia”, o, ancora, offre il funereo materiale delle variazioni della “Danza delle ombre” e domina interamente il campo sonoro nel finale (“Les Furies”). Un’esecuzione convincente: espressiva e mutevole, in coerenza con l’evoluzione degli “affetti” della musica. Meritati i calorosi applausi del pubblico.
Museo Sartorio, 8/9/2023: Quartetto EOS
Il quartetto EOS
Il nome ricorda, oltre alla dea, la composizione di Haydn intitolata all’Aurora (op. 76, n. 4), ed aurorale, perché fondato di recente (nel 2016 nell’ambito del Conservatorio di Santa Cecilia a Roma), è l’EOS, quartetto composto da Elia Chiesa (violino I), Misia Jannoni Sebastianini (che a Trieste ha sostituito Giacomo Del Papa, violino II), Alessandro Acqui (viola) e Silvia Ancarani (violoncello). Il gruppo si è già affermato in competizioni importanti (fra le altre il “Premio Farulli” nel 2018, sezione del “Premio Abbiati” della Critica musicale e l’“Orpheus Swiss Chamber Music Competition” nel 2020), si esibisce abitualmente su palcoscenici nazionali ed europei di rilievo e ha già inciso il primo disco (Eternal Beauty, musiche di Mendelssohn, Webern e Janacek, Da Vinci Classics 2023).
A Trieste, nella piccola ma colma sala del Museo Sartorio, EOS ha eseguito il Quartetto n. 3, K156, che Mozart compose nel 1772 a diciassette anni, durante il suo terzo e ultimo viaggio in Italia, e il Quartetto in re minore, D. 810, “La morte e la fanciulla”, uno degli ultimi lavori di Schubert, composto nel 1824. Due opere lontane nel tempo, oltre che per stile e destinazione: la prima guarda al modello di Giovan Battista Sammartini, piuttosto che ad Haydn, ed è pensata come divertimento per un pubblico da “accademia”, mentre la seconda è erede della grande tradizione quartettistica classica e del primo romanticismo ed è rivolta a raffinati ascoltatori.
Ma tutt’altro che acerbo è il quartetto mozartiano, aperto (Presto) e chiuso (Minuetto) nella aerea e leggera tonalità di sol maggiore, dove peraltro (per arte dell’auto imprestito) si ascoltano temi familiari, tanto che pare di sentire Figaro che vuole affrettare le proprie nozze cantando «Signori di fuori / son già i suonatori» e Despina che insegna alle sorelle ferraresi del Così fan tutte a trattare con gli uomini «e», conclude, «qual regina / dall’alto soglio / col posso e il voglio / farsi ubbidir». E un capolavoro è l’Adagio centrale in mi minore in cui il perfetto equilibrio formale sottolinea anziché attenuare il carattere doloroso dei temi e il tono di sconforto che vi si respira. L’EOS, senza eccedere con la velocità del metronomo e con le dinamiche, affronta con leggerezza e equilibrio il primo e l’ultimo tempo, ed è anche capace di dare profondità alla cupa atmosfera del secondo movimento.
Suggestiva mi è parsa anche l’esecuzione del Quartetto in re minore D. 810 di Schubert, nella quale l’indole composta, il suono calibrato e la tendenza a non forzare né i tempi, né le agogiche, non impediscono agli esecutori di rendere in modo convincente l’espressività a tratti esasperata della composizione (i contrasti fra pianissimi e fortissimi, fra dolorosi tempi lenti e angosciosi tempi agitati). L’esecuzione non è mai virtuosistica e non pare voglia mai impressionare il pubblico, così l’attenzione dell’ascoltatore si concentra sulla musica e non sugli esecutori. Intensa è l’espressione dell’EOS fin dal primo movimento, di umori mutevoli e di laceranti contrasti, in cui buona è l’intesa e corposo è l’impasto sonoro. Nel secondo (le variazioni sul tema del Lied che dà il titolo al quartetto) gli esecutori fanno emergere le simmetrie della composizione, mentre vivo è parso lo Scherzo con il più mesto Trio e appassionato il finale con la sua coda a precipizio. Un’esecuzione convincente e molto applaudita. Un gruppo da seguire.