Il complesso di Antea
Il Ponte rosso N° 28 | Nadia Dnelon | ottobre 2017 | storie dell'arte
Un significativo dialogo tra immagine filmica e pittorica
La campagna del MIBACT L’arte ti somiglia è riuscita nel suo intento di portare un messaggio innovativo e coinvolgente
di Nadia Danelon
La recente campagna del MIBACT (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) intitolata L’arte ti somiglia deve il suo successo alla sua particolare forma di interazione con il pubblico: lo scopo è quello di sensibilizzare gli italiani, rendendoli consapevoli della presenza di importantissimi capolavori pittorici e scultorei conservati presso i musei di tutto il territorio nazionale.
L’idea di base è più che mai evidente: in qualche modo, siamo simili a coloro che ci hanno preceduto. Alle volte, nei soggetti ritratti nell’ambito dei capolavori artistici, ritroviamo alcuni tratti del viso oppure un particolare atteggiamento che sappiamo essere simile al nostro. Forse deriva da un tentativo di emulazione nei confronti di atteggiamenti già standardizzati, oppure veniamo davvero influenzati da ciò che stiamo osservando: ad esempio, da alcuni anni circola in rete la fotografia di due bambine in posa davanti alla Piccola danzatrice di quattordici anni di Degas (1879-1881), nella stessa identica posizione della figura scolpita. Ma L’arte ti somiglia pone in evidenza anche un altro messaggio di grande importanza: tra le opere selezionate ci sono anche capolavori non particolarmente famosi, dipinti e sculture quasi sconosciuti al grande pubblico che generalmente vengono apprezzati solo dagli addetti ai lavori. Tuttavia, con il passaggio in televisione del video (realizzato dal MIBACT in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia e diretto da Paolo Santamaria), questi più o meno noti capolavori hanno attirato l’attenzione degli spettatori: un processo che forse li ha portati ad indagare per conoscere meglio le opere simbolo dell’iniziativa, elencate con precisione sul sito ministeriale.
Di sicuro, la campagna è riuscita nel suo intento di portare un messaggio innovativo e coinvolgente: infatti, lo spot ha avuto un discreto successo che ha comportato anche il conferimento di alcuni premi. L’idea di sensibilizzare il pubblico, di farlo interessare alla storia dei secoli passati attraverso delle immagini chiave, trova il suo approccio ideale proprio attraverso l’immagine filmica: siamo talmente abituati ad essere bombardati dalle immagini del piccolo e del grande schermo che forse (talvolta, ma non sempre) sono questi i canali ideali per una prima presa di coscienza di oggetti che fanno parte del patrimonio culturale europeo.
Non basta attraversare le sale di un museo, magari sbrigativamente o con poco interesse, così come non è sempre necessario essere degli esperti del settore in senso stretto per apprezzare un capolavoro nell’immediato: in questo caso, la prima impressione può davvero fare la differenza. L’opera rimane nella coscienza dell’osservatore, ma anche dello spettatore: ed è qui, appunto, che l’immagine filmica entra in gioco. L’azione di osservare ci porta a volerne sapere di più, guardare come il regista affronta l’opera in un contesto fittizio può anche farci incuriosire e spingerci a conoscere meglio la storia del capolavoro citato o preso in analisi: è questo il caso di due produzioni risalenti a poco più di una decina di anni fa, appartenenti al contesto televisivo e cinematografico. In entrambe il protagonista (indiretto in un caso, diretto nell’altro) è un dipinto: si tratta di due opere appartenenti a secoli e contesti differenti, il Ritratto di una giovane donna detto Antea del Parmigianino (1535 circa) e il Ritratto di una ragazza col turbante di Vermeer (1665 circa).
Il primo è il protagonista di un episodio, più precisamente il settimo della quarta stagione, della serie televisiva statunitense Gilmore Girls: nota al pubblico italiano con il titolo di Una mamma per amica, prodotta tra il 2000 e il 2007. Si tratta di uno dei telefilm più in voga durante il primo decennio del Duemila, premiato dalla critica e inserito dalla rivista Time nella lista delle cento migliori serie televisive (2007): per anni, ha tenuto incollate allo schermo tante ragazzine ma anche donne ormai mature. La storia, adeguatamente frivola e ricca di dialoghi ipnotizzanti e non banale per alcune delle tematiche trattate, ruota attorno ad un originale rapporto tra madre e figlia. Lorelai e Rory Gilmore (interpretate sullo schermo dalle attrici Lauren Graham e Alexis Bledel), residenti nella fittizia ma pittoresca cittadina di Stars Hollow (Connecticut), si sono guadagnate nel corso degli anni l’affetto del pubblico: per questo motivo, un revival della serie è stato proposto da Netflix nel novembre 2016. Ma nell’episodio 7×04 (risalente al 2004, per la regia di Chris Long) viene proposta una tematica interessante: un connubio tra immagine filmica e pittorica, volutamente ricercato, che si inserisce con fluidità nell’episodio della serie televisiva. Il titolo inglese della puntata è The festival of Living Art, mentre in italiano è stato rielaborato in La ragazza di Renoir: a Stars Hollow viene realizzato una sorta di festival dei quadri viventi (dove in realtà vengono interpretati dai personaggi anche dei soggetti scultorei e decorativi), in cui le protagoniste vengono direttamente coinvolte. Se la madre (Lorelai) viene appunto selezionata per una rielaborazione di un celebre dipinto di Renoir, l’opera scelta per essere interpretata dalla figlia (Rory) è frutto di una ricerca più sottile e azzeccata: si tratta appunto della cosiddetta Antea del Parmigianino. Un dipinto che appartiene alle collezioni del Museo di Capodimonte di Napoli, già presente nella raccolta della famiglia Farnese e realizzato dall’artista dopo essere rientrato a Parma: il soggetto raffigurato non è chiaro, poiché la iniziale identificazione della figura ritratta nella cortigiana romana Antea (ad opera del Barri, 1671) è stata smentita anche dalla grande somiglianza della giovane donna con uno degli angeli della Madonna dal collo lungo, realizzata dall’autore in un momento successivo rispetto al soggiorno romano (1524-1527). Può anche darsi che l’accostamento tra l’immagine proposta sullo schermo da Alexis Bledel ritratta come Antea e il dipinto vero non abbia avuto il successo sperato, d’altra parte la memoria di un episodio visto di sfuggita scompare in fretta: però è anche vero che nel 2004, per una fascia di pubblico americano e internazionale affezionato a quella particolare serie televisiva, il dipinto ha raggiunto una fama generale e non settoriale. Non solo gli esperti del settore, ma anche il pubblico (non solo europeo) ha avuto l’opportunità di conoscere in qualche modo questo capolavoro del Parmigianino e farne tesoro.
Un caso simile ma più sottile dal punto di vista della tematica affrontata, è quello del film La ragazza con l’orecchino di perla, risalente al 2003 e diretto da Peter Webber: la pellicola affronta parallelamente la storia personale del pittore olandese Jan Vermeer, affiancandola a una ipotesi relativa alla storia di uno tra i suoi più celebri ritratti, fantasiosamente sviluppata dalla scrittrice Tracy Chevalier nell’omonimo romanzo pubblicato nel 1999. In breve, il film parla di una giovane indigente (Griet), presa a servizio nella casa del celebre pittore: notando il suo talento, Vermeer le conferisce l’incarico di sua assistente, immortalandola poi in un ritratto. Il talento del pittore (interpretato sullo schermo da Colin Firth) incontra il fascino misterioso della modella (Scarlett Johansson): viene così riproposto sul grande schermo uno dei dipinti più enigmatici della storia dell’arte. La telecamera inquadra Griet, avvicinandosi lentamente alla figura in posa: un’inquadratura che poi si trasforma, partendo dalla perla, nel capolavoro vero. La Ragazza col turbante, uno dei più importanti capolavori di Vermeer, detta anche la Monna Lisa olandese: intorno a quella perla, non realmente dipinta come tale ma formata da pennellate sovrapposte che illusionisticamente restituiscono all’occhio un’immagine fittizia, ruota tutto. Il film evidenzia lo scandalo, di questa ragazza del popolo che scatena la gelosia della moglie del pittore che non trova giustificazione per l’interesse dimostrato dal marito nei confronti della fanciulla, un disagio e una provocazione che vengono messi sotto gli occhi di tutti grazie al dipinto: le labbra socchiuse della figura femminile, lo sguardo languido ma soprattutto quel gioiello troppo prezioso per una persona di così bassa estrazione sociale. Troppo grossa quella perla, tanto da aver fatto pensare che quella raffigurata da Vermeer sia una riproduzione in vetro: ma, come evidenzia Pescio (2012) per questo pittore non è il soggetto ciò che conta. Al pittore interessa dipingere, riprodurre la realtà che va oltre ogni dettaglio, ma qui si va oltre: la dimensione psicologica è tanto complessa quanto risulta semplice il soggetto raffigurato. Questa tronie è tipica solo in apparenza: gli abiti devono essere anticheggianti o di stampo orientale, come sono in questo caso. Ma nessun attributo ci permette di identificarla con certezza: una musa, una sibilla? chi può dirlo. Quel che è certo è che prima il libro e poi il film hanno contribuito a rafforzare la fama di questo dipinto: vedere Scarlett Johansson interpretare la fanciulla di Vermeer ha creato una memoria fotografica nel pubblico, destinata a durare più a lungo rispetto a quella dell’Antea proposta nel telefilm dato il mezzo più elevato e prestigioso. In conclusione, questo è un altro modo di spiegare la storia dell’arte, non immediato e bisognoso di una ricerca più approfondita: di sicuro un primo passo è stato fatto, ora sta al pubblico trovare l’interesse per conoscere meglio la storia dei capolavori da cui (soprattutto in Italia) è circondato.