Il bacio di Hayez: un’allegoria politica
agosto 2020 | Il Ponte rosso N° 59 | Nadia Danelon | storie dell'arte
Esistono quattro versioni documentate di quest’opera: la prima, conservata a Brera, è sicuramente la più celebre
Nadia Danelon
Il Bacio di Hayez (uno dei dipinti più importanti del Romanticismo) fa parte della categoria che si potrebbe definire come delle opere d’arte fondamentali, ossia dotate di una fama intramontabile. Questi capolavori sono noti e celebrati sia dagli studiosi che dal grande pubblico. Commercializzate nelle forme più varie, tali opere sono apprezzate da tutti per molteplici ragioni: la scelta dei colori, la semplicità compositiva, il soggetto immediatamente riconoscibile oppure di facile spiegazione. Si tratta, in effetti, di opere che si adattano bene alla grande distribuzione: questo però tende ad abbassare l’interesse del pubblico nei confronti del loro vero significato, che spesso solo in apparenza può risultare semplice ed immediato. Altre volte, sfruttando la fortuna commerciale di certi capolavori, vengono elaborate teorie balzane e di poco o nessun valore scientifico: è questo il caso, ormai tragicomico, del dibattito legato alla Gioconda di Leonardo da Vinci (l’opera più riprodotta al mondo). In realtà, l’ammirazione nei confronti di molti tra questi capolavori è spesso legata alla necessità, da parte del pubblico, di poterne apprezzare la bellezza superficiale. Per questo motivo i gadget che riproducono opere d’arte celebri si vendono così tanto: rappresentano uno status, una ricercatezza, una voglia di avvicinarsi al settore culturale che però deve essere alla portata di tutti. Ben venga, se questi fenomeni risultano contenuti ed attuati allo scopo di far conoscere i capolavori anche ai “non esperti”. Questa premessa è necessaria per affrontare l’analisi di un’opera particolare e (naturalmente) fondamentale. Apprezzato dalle persone romantiche, tanto appassionato da suscitare i sospiri degli innamorati, il Bacio di Hayez è (come già anticipato) una delle opere d’arte più conosciute al mondo.
Francesco Hayez, nato a Venezia nel 1791, è stato uno degli autori più importanti dell’Ottocento italiano. Spesso viene messo in evidenza il suo interesse per la tradizione pittorica veneta: pare, infatti, che abbia avuto uno zio antiquario e collezionista di opere celebri come quelle di Tiziano e di Veronese. Si racconta che il giovane Francesco sia rimasto talmente affascinato da tali capolavori da staccarsene a fatica (Porcu, 2006). Un interesse verso la pittura e (in generale) per l’arte del passato che cresce anche negli anni più intensi della sua formazione. Francesco Hayez è ricordato come uno degli allievi più promettenti dell’Accademia di Venezia al tempo della direzione di Leopoldo Cicognara. Il metodo d’insegnamento offerto in quel contesto prevedeva lo studio delle opere d’arte più antiche: inoltre, ai vincitori dell’alunnato a Roma, era offerta la possibilità di soggiornare nella città eterna per approfondire la conoscenza delle opere d’arte ivi conservate. È in questo contesto che Hayez, grazie alla raccomandazione di Cicognara, ha avuto modo di conoscere Antonio Canova. Il grande maestro ha accolto il giovane pittore sotto la sua protezione, incoraggiandolo ad approfondire i suoi studi legati anche all’arte antica. Da queste importanti meditazioni deriva anche uno dei dipinti più significativi di Hayez: la trasposizione pittorica di un particolare soggetto mitologico che l’accomuna ad una delle più importanti sculture dell’antichità, ovvero il Laocoonte.
Successivamente Hayez si trasferisce a Milano, dove inizia a frequentare i circoli intellettuali cittadini: nella sua cerchia di conoscenze c’è anche Alessandro Manzoni. È testimone dei fatti del Risorgimento, che segue con grande interesse esprimendosi a favore della causa patriottica. Affascinato da questi moti, cela in molte sue opere dei messaggi a favore della nazione italiana. Hayez è stato frainteso già all’epoca a causa di una lettura più semplice ed immediata nei confronti dei suoi dipinti (in realtà, spesso risultata conveniente e indotta dallo stesso autore): è questo anche il caso del celebre Bacio.
Esistono quattro versioni documentate di quest’opera: la prima è sicuramente la più celebre. Commissionata dal conte Alfonso Maria Visconti di Saliceto, è stata presentata a Brera nel 1859 con un titolo volutamente ingannevole: Il bacio. Episodio della giovinezza. Costumi del secolo XIV. Questa definizione è evidentemente superficiale: descrive il soggetto per come in effetti ci appare, ma cela con astuzia il suo significato più profondo. La prima versione viene esposta nella villa del committente fino al 1886, un anno prima della morte di Alfonso Visconti che decide di cedere l’opera alla pinacoteca di Brera, dove il dipinto si trova ancora oggi.
Anche la quarta versione dell’opera, che si differenzia dalla prima per alcuni dettagli come il drappo bianco sulla scalinata, è talmente enigmatica da essere subito fraintesa. È stata presentata all’Esposizione universale di Parigi del 1867. Hayez non è riuscito a raggiungere la capitale francese per l’occasione, ma ha ricevuto una lettera dall’amica Giuseppina Negroni Prati Morosini che così gli ha descritto l’accoglienza del dipinto esposto: “…anche il suo bacio (soggetto alla portata di tutti) piace molto”. Solo apparenza, quindi: per comprendere il messaggio patriottico bisogna evitare di soffermarsi troppo sul soggetto, facendo piuttosto attenzione alla scelta dei colori. È questo il caso, in particolare, della versione del 1861: estremamente patriottica ed esposta al Castello di Miramare in occasione dei 150 anni dalla proclamazione del regno d’Italia. L’abito della fanciulla, in quella versione, è bianco. Il mantello dell’uomo ha la fodera verde e i suoi calzoni sono rossi. Eccolo, il nostro tricolore! Se vogliamo però comprendere il significato presente (con certe variazioni) anche nella prima versione, è forse opportuno procedere prima con la descrizione formale dell’opera.
L’ambientazione è medievale, così come sottolineato dallo stesso Hayez: nell’androne di un castello, due amanti si scambiano un bacio appassionato. La fanciulla, dallo sguardo languido, ha la mano appoggiata sulla spalla dell’amato e sembra essersi lasciata trasportare abbandonando ogni pensiero nell’intensità del momento. L’uomo ha il volto in gran parte celato dal cappello con la piuma: nell’intensità della passione afferra (con dolcezza) la testa dell’amata. La seta dai riflessi più o meno cangianti dell’abito di lei risalta contro l’abbigliamento dai colori più caldi della figura maschile ed entrambi vengono distinti efficacemente dallo sfondo neutro. Il gioco di luce ed ombra dell’abito indossato dalla fanciulla, con quelle pieghette così realistiche, è quasi ipnotico.
Anche se la coppia sembra vivere con serenità il momento, abbandonandosi ad una passione pura e giovanile, con uno sguardo più attento appare chiara l’atmosfera tesa e quindi drammatica. Il piede di lui sul primo gradino della scalinata, l’impugnatura della sua arma che preme leggermente contro il fianco di lei, la figura misteriosa a sinistra (che sale le scale, resta di guardia oppure attende pazientemente che l’attimo di passione sia concluso): sono tutti indizi che ci documentano una certa tensione, talvolta interpretata come la consapevolezza di un futuro incerto. Lui è un cospiratore, oppure un ribelle? Non è molto chiaro. Di sicuro, però, il Bacio ricorda un’opera dal soggetto quasi analogo ma più definito (Mazzocca, 1998), dipinta da Hayez più di trent’anni prima dell’opera conservata a Brera. Si tratta dell’Ultimo bacio dato a Giulietta da Romeo (1823). In questo caso, naturalmente, l’epilogo è noto: tuttavia, questa volontà di “cogliere l’attimo” emerge in entrambe le coppie. Un bacio d’addio, disperato ed intenso.
L’abito azzurro della versione più conosciuta, unito ai dettagli bianchi di cui è dotato (nella versione presentata a Parigi, a questi si unisce il panno bianco sulla destra) e a certi colori più o meno evidenti nel vestiario dell’uomo richiamano le bandiere italiana e francese. Infatti, fanno riferimento ad un importante avvenimento politico di quel periodo. Gli accordi di Plombèries, tra Napoleone III e Camillo Benso conte di Cavour, stipulati segretamente il 21 luglio 1858. L’incontro tra i due, sugellato dall’alleanza sardo-francese del gennaio 1859, fu determinante per i presupposti legati alla Seconda guerra d’indipendenza italiana.
Il messaggio allegorico racchiuso nel Bacio, anche se non venne inteso da tutti, fu immediatamente percepito dagli intellettuali dell’epoca:
“…una scena toccante, piena di mistero e di affetto. Esca da questo bacio affettuoso una generazione robusta, sincera, che pigli la vita com’ella viene, e la fecondi coll’amore del bello e del vero” (Francesco Dall’Ongaro).
Francesco Hayez
Il bacio
(particolare)
olio su tela, 1859
Pinacoteca di Brera
Milano