I volti di Paolo Del Giudice

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Tra Pordenone e Sesto al Reghena due esposizioni di sicuro interesse

di Walter Chiereghin

 

L’attività artistica di Paolo Del Giudice è esercitata da più di cinquant’anni e in qualche modo trova un suo momento di sintesi con l’esposizione di una quantità di dipinti di volti di personalità più o meno note, con le quali il pittore ha avuto contatti diretti o mediati dalla conoscenza del loro agire artistico oppure delle loro vicende biografiche. Si tratta di dipinti che testimoniano il meglio di un’ispirazione, concentrata sull’interesse per la figura umana che nella rappresentazione di fisionomie ed espressioni mimiche, spesso reiteratamente oggetto di studio da parte dell’artista trevigiano, trova il suo terreno di confronto ideale con l’Altro e ne fa oggetto di una sua appassionata esplorazione emotiva prima ancora che figurativa.

Una grande mostra, per la quale si è voluto il titolo “Nello specchio dei volti”, curata da Giancarlo Pauletto per il Centro Iniziative Culturali di Pordenone, consente di confrontarsi con una impressionante quantità di dipinti, tutti di straordinaria qualità. Non essendo risultato sufficiente un solo spazio espositivo – per quanto di generose dimensioni – per dare ragione di questa tematica affrontata da tanti anni e con tanta partecipe assiduità, di spazi ne sono stati opzionati due: il primo, visitabile dal 4 giugno al 18 settembre, allestito presso la Galleria Sagittaria di Pordenone, mentre il secondo, agibile al pubblico dal 20 agosto al 23 ottobre, sarà ubicato al Salone abbaziale di Santa Maria in Silvis, a Sesto al Reghena.

Non si tratta di ritratti, che per definizione richiedono che il soggetto sia in posa davanti a chi lo dipinge (privilegio che Del Giudice accorda soltanto agli amici), ma il suo interesse per i volti che trasferisce sulla tela o sulla tavola con gesto che s’immagina veloce e sicuro. Le opere, per ammissione dello stesso autore, s’inscrivono all’interno di un antico e da tempo riesumato richiamo: «Come una vena carsica la figura umana, ossessione monotematica della mia pittura fino ai primi anni ottanta, è ricomparsa, nel 1988, in alcuni volti di Pier Paolo Pasolini […]. Da allora torno periodicamente su quei soggetti che insisto a chiamare volti e non ritratti. Essi infatti nascono filtrati dall’immagine mentale impressa nella memoria risvegliata in un preciso istante magari da una debole traccia fotografica».

I soggetti presentati nella mostra alla Galleria Sagittaria sono volti, per lo più di poeti (Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Ezra Pound, Allen Ginsberg, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Garcia Lorca, Ada Merini ed altri), ma anche di scrittori (èmile Zola, Boris Pasternak, Claudio Magris, Michail Bulgakov, Franz Kafka, Virginia Woolf, Natalia Ginzburg. Simone de Beauvoir, Elsa Morante, Carlo Sgorlon, Carlo Emilio Gadda, Mario Rigoni Stern, Italo Calvino, Jorge Luis Borges ed altri), di attrici (Anna Magnani), di pittori (Giorgio de Chirico, Pablo Picasso, Gustave Courbet), di campioni dello sport (Fausto Coppi, Mike Tyson, Ben Johnson, Ottavio Bottecchia); tutti o quasi risultano perfettamente riconoscibili nella loro identità e restituiti dall’artista mediante rapide vigorose pennellate, sovente monocromatiche, che fissano con pochi gesti la fisionomia suggerendo altresì un piano d’incontro meno epidermico. Si compone così alle pareti delle sale di esposizione una galleria di volti noti, un florilegio de viris illustribus che non è difficile attribuire a un vasto pantheon personale di Del Giudice, strutturato in parte su conoscenze dirette, in parte su una conoscenza edificata sulla lettura, o seguendo le tracce del personaggio nelle cronache sportive o dello spettacolo.

Alcuni volti sono in più occasioni ripetuti – Pasolini, De Chirico o Zanzotto – quasi alla ricerca di un’ulteriore visione del medesimo soggetto che ne renda più approfondita l’esplorazione. A Pier Paolo Pasolini, per esempio, presente anche alla Sagittaria in otto varianti – se non abbiamo contato male – Del Giudice dedicò nel 2006 un’intera mostra a Mantova e a proposito di queste reiterazioni creative, di questo quasi ossessivo ritornare sui medesimi lineamenti. osserva Pauletto che «il pittore non si accontenta, insiste, li dipinge più volte, spesso moltissime volte, li indaga attraverso varie forme nel tentativo di darcene, alla fine, quasi un ologramma, un’identità che, per quanto problematica, si contenga tuttavia entro confini riconoscibili».

La visione di queste opere finisce per creare una sorta di triangolazione tra il soggetto rappresentato, l’artista che lo rappresenta nel suo lavoro e il fruitore che s’inserisce in questo rapporto, cosa che avvalora ulteriormente la titolazione della mostra – “Nello specchio dei volti” – in un gioco di riflessi e comunicazioni o, come meglio riassume ancora Pauletto: «qui ogni volto è una storia, un racconto in cui entra anche tutto ciò che il pittore sa di esso, e anche noi sappiamo: questo racconto noi, assieme a Del Giudice, dobbiamo saper leggere, negli occhi e nelle fisionomie dobbiamo penetrare per poter penetrare in noi stessi, poiché ogni conoscenza dell’altrui forma è in definitiva conoscenza della nostra forma: è infatti il confronto, che rende possibile il riconoscimento reciproco».

 

 

Paolo Del Giudice

Pier Paolo Pasolini

olio su tavola, 1988