I Turchi alle porte

| | |

di Fulvio Senardi

 

Conoscevamo Gizella Nemeth Papo e Adriano Papo come protagonisti della magiaristica giuliana, anche grazie a uno strumento di ricerca e di dibattito culturale, l’Associazione culturale italo-ungherese “Pier Paolo Vergerio”, da essi fondata e condotta. Stupisce, ma forse non tanto, ritrovarli autori di un approfondito volume su I turchi nell’Europa centrale – Da Gallipoli a Passarowitz (secc. XIV-XVIII) recentemente pubblicato da Carocci, con utilissimo indice tripartito: bibliografia, toponomastica e glossario, dei nomi. Non tanto dicevamo, perché la riflessione storica relativa all’Europa centrale tra autunno del Medioevo e modernità, richiede un’approfondita conoscenza di quella potenza in primo luogo militare, ma pure economica e, in senso lato, culturale che cono stati gli Ottomani, nella fase che li ha visti prevalere prima sull’esangue Impero romano d’Oriente (data fatidica: il 1453 della conquista di Costantinopoli per opera di Maometto II), quindi espandersi nell’area mediorientale e, in direzione opposta, in Europa.

Al secolo d’oro dell’Impero ottomano, della cui vitalità politico-militare danno testimonianza, in questa fase, l’assedio di Vienna e la definitiva conquista dell’Ungheria orientale, i Papo dedicano il capitolo centrale del libro, indicando in Solimano il Magnifico (1494-1566, sul trono dal 1520) l’artefice della vigorosa espansione e di un progresso economico-culturale (fu poeta egli stesso) senza pari in tutta la storia dell’Impero osmanico. Con la sua morte, che coincide emblematicamente con il fallimento dell’assedio di Malta nel 1565, una pagina epica di parte cristiana in cui si vide – anticipazione dell’alleanza vittoriosamente schierata a Lepanto – il concorso di varie forze dell’Europa cattolica, comincia il lungo ma inesorabile declino della potenza ottomana.

La ricchezza di informazioni e la galleria di personaggi, più o meno noti, schierati dagli autori nel corso della narrazione, non rischiano di far perdere la bussola al lettore attento, ben inquadrati, come sono, in capitoli che registrano il succedersi cronologico degli eventi, con ampi medaglioni dedicati ai principali eventi ed ai protagonisti di maggior spicco.

Chi dunque volesse comprendere quali siano i rimandi storici della sverniciatura di Erdogan, che guarda come modello alla lunga stagione sultanale a costo di rimettere in discussione quella laicizzazione su cui Mustafa Kemal aveva puntato per fare della Turchia una nazione moderna, trova in questo libro ampia materia di riflessione.

Di minor rilievo geo-politico ma più direttamente legate ai trascorsi del cantuccio alpe-adriatico che ci è toccato in sorte, le pagine che gli autori dedicano alle incursioni ottomane sulle nostre terre, tanto consuete nel corso del 15° secolo (l’ultima venne registrata nel 1499) da determinare nuovi assetti del territorio, con l’erezione di fortezze difensive (una funzione in tal senso ebbe, nel suo piccolo, anche il tabor di Monrupino), e la costituzione di una milizia territoriale, la cernida, così significativa, ben al di là delle intenzioni degli istitutori, nel quadro delle sommosse anti-feudali del Friuli cinquecentesco.

Introducendo il volume, i due autori, sottolineano che «l’impero ottomano non fu soltanto un pericoloso antagonista della civiltà occidentale ma, nei suoi riguardi, esso può vantare almeno due grossi meriti: […] aver favorito la nascita d’una identità europea», sia pure per semplice contrapposizione (e senza che ciò, ma qui la storia non racconta nulla di nuovo, attenuare i conflitti interni fra le nazioni cristiane), e «aver garantito ai paesi dei Balcani, del Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale secoli di stabilità politica»; una lunga stagione che si conclude con l’arrivo del progresso occidentale, ipocrita veicolo di “civiltà”.

 

 

Bottega di Tiziano

Solimano il Magnifico

olio su tela, 1530

Kunsthistorisches Museum

Vienna