Cronache di tragedie annunciate
Editoriale | Il Ponte rosso N° 38 | ottobre 2018
Non sono passati tre mesi dal maledetto 14 agosto quando a Genova quarantatre persone hanno perso la vita nel crollo del ponte autostradale che attraversava la valle del Polcevere a Sampierdarena: centinaia di sfollati, polemiche, responsabilità attribuite senza che ancora fosse aperta un’inchiesta giudiziaria o quasi, perché subito s’è trovato il colpevole, che era naturalmente non riconducibile in alcun modo a chi emetteva le anticipazioni delle sentenze di là da venire. Se mai verranno.
Su quella drammatica vicenda la reazione del governo è stata immediata. Oddio, immediata… ci hanno messo cinquantacinque giorni per emettere un decreto, che dettava le norme per la gestione commissariale della ricostruzione del ponte, assegnava alla società che gestisce il raccordo l’onere della demolizione e della rimozione delle macerie, fissava in capo al medesimo concessionario i costi della ricostruzione, prevedendo anche un intervento diretto dello Stato nel caso (probabile assai) che la società Autostrade opponesse resistenza. E poi, si capisce, dettava norme per attuare con solerzia il condono edilizio tombale per le case abusive di Ischia. Di Ischia, certo.
Lo so, il termine “condono” è diventato una parolaccia, tanto in ambito fiscale che edilizio, e non lo si può decentemente scrivere senza trovare un luccicante eufemismo per rendere il concetto, ma sono confortato perché ricavo il termine dal Sole 24 ore del 1 novembre, che non è precisamente Servire il popolo o Lotta continua, ma l’organo di stampa della Confindustria. Ma cosa c’entra il condono delle ville abusive di Ischia con il ponte di Genova? Apparentemente niente, ma in effetti serve a transitare senza salti logici da Sampierdarena alla tragedia dei giorni scorsi in Sicilia, dove nove persone hanno perso la vita nel fango di un torrente, intrappolate in una villetta abusiva, che avrebbe potuto (e dovuto) essere abbattuta nel 2011. Rasa al suolo una famiglia, bambini compresi, ma la costruzione abusiva no: è ancora lì, sequestrata dalla magistratura in quanto scena di un crimine. Un crimine ancora più inquietante di quello che si è portato via nove vite, perché è un crimine diffuso in tutto il Paese: sono difatti 71 mila gli immobili per i quali è previsto l’abbattimento in quanto non conformi e quindi abusivi, ma soltanto il 19,6% di essi sono stati effettivamente demoliti (fonte: legambiente.it).
Un’illegalità diffusa e solo parzialmente spiegabile con l’inerzia delle istituzioni: non si comprende perché, ad esempio, queste migliaia di abitazioni illegali godano di allacciamenti alla rete elettrica e a quella idrica, quando anche non al sistema fognario. Dal canto loro i sindaci, che dovrebbero avere il compito di provvedere alle demolizioni “tengono famiglia” e sanno di andare incontro su questo terreno a un’impopolarità in grado di provocare loro una vasta gamma di guai, dalla mancata rielezione su su fino all’omicidio. Già, perché il Paese non è affatto migliore di chi lo governa.
Problemi grandi come montagne, quali la cementificazione selvaggia che ha implicato la modificazione di oltre la metà dei paesaggi costieri, il consumo di suolo che si sta mangiando il territorio anche dove la popolazione è in decisa decrescita, il dissesto idrogeologico che ad ogni pioggia reclama le sue vittime e le ottiene mediante inondazioni, frane e abbattimento di alberi, l’abusivismo che consente di edificare nel letto di fiumi e torrenti, o sulle pendici dei vulcani. Tutti fattori che vanno ad aggiungersi ai problemi legati all’inquinamento e alle variazioni climatiche prefigurando così scenari inquietanti non già per le future generazioni, ma anche per i prossimi nostri anni, come tragicamente stiamo vedendo, un disastro dopo l’altro.
Problemi di difficile soluzione, non c’è dubbio, ma le soluzioni, quand’anche si vogliano percorrere, non passano certo dall’approvazione di nuovi condoni. Tombali, come sono definibili con sinistra ambiguità.