Carolus Cergoly
Il Ponte rosso N° 32 | Liliana Bamboschek | marzo 2018 | personalità
Ricordando un triestino scomodo, polemico, controcorrente
di Liliana Bamboschek
Carolus Cergoly occupa un posto a parte nella poesia triestina, conosciuto in Italia e apprezzato all’estero è uno scrittore di dimensione europea ma è stato, e rimane tuttora, piuttosto emarginato nella sua Trieste. Era indubbiamente un personaggio scomodo, polemico, controcorrente. L’anno scorso il trentesimo anniversario della sua morte è passato in sordina ma, poiché nel 2018 ricorrono 110 anni dalla nascita, mi auguro che ci potrà essere finalmente l’occasione buona per parlare di questo artista senza pregiudizi.
In realtà non si può definirlo uno scrittore dialettale: è il vero e proprio creatore di un linguaggio originale che, avendo come base il dialetto triestino, accoglie anche elementi linguistici degli altri idiomi dell’impero austroungarico. Lui stesso si definiva un poeta “mitteleuropeo” in lessico triestino ma, anche se il termine è dopo tutto solo un’etichetta, si avvicina allo spirito sovranazionale, plurilinguistico che anima profondamente i suoi scritti.
Carlo Luigi Cergoly Serini, nato a Trieste il 20 settembre 1908 e morto il 4 maggio 1987, apparteneva a un casato di nobiltà ungaro-slava con radici nei vari paesi dell’impero (adottò anche il cognome della madre croata Zrinski italianizzandolo in Serini). Suo fratello era quel Guido Cergoli ben noto e molto amato a Trieste, eccezionale pianista e creatore subito dopo l’ultima guerra della famosissima Orchestra Cergoli, vero gioiello ritmo-sinfonico della nostra radio locale, in seguito diventato dirigente alla Rai di Roma.
Fra le due guerre Carolus si nutre di Svevo e di Saba, frequenta Joyce e in particolare suo fratello Stanislao. Ma l’esperienza fondamentale per forgiare il suo linguaggio gli viene dall’adesione al futurismo. Negli anni ’20 fonda il Circolo del Magalà e nel 1928 pubblica la raccolta poetica Maaagaalà. Con le “parole in libertà” inventa arditi collage poetici, crea immagini simultanee con sfumature ironiche e clownesche: un autentico pastiche che si evolverà in seguito verso il suo personale lessico. Durante la seconda guerra mondiale partecipa alla campagna di Russia nel ’42, poi è partigiano con Giustizia e Libertà e quindi con le Brigate Garibaldi. Nel ’45 diventa redattore del giornale Il nostro avvenire, poi fonda Il corriere di Trieste che dirigerà fino al 1953; in seguito aprirà la Galleria d’arte Ai Rettori. Sarà Pasolini a scoprirlo e presentarlo alla critica italiana in un articolo su Il Tempo. Raggiunge una platea nazionale con la raccolta Ponterosso (Guanda, 1976), l’edizione completa delle sue poesie Latitudine Nord è del 1980 nella collana Lo Specchio di Mondadori. La piena notorietà gli verrà però da uno dei suoi tre romanzi, Il complesso dell’imperatore, un collage di ricordi, di fantasie in cui esprime tutta la nostalgia dell’impero asburgico, quel mosaico di popoli, lingue, culture che aveva come centro la figura dell’imperatore: un mondo irrimediabilmente scomparso.
Molti e qualificati i giudizi critici sulla poesia di Cergoly a cominciare da James Joyce: “La tessitura del suo dialetto è veramente muscolosa”.
Natalia Ginzburg: “La poesia di C. sta appiattata in un angolo come un uccello su una roccia. Di tanto in tanto si stacca di là per volare…” Pierpaolo Pasolini:” C. ha in Trieste il suo habitat… e nello stesso tempo ne emerge con proterva e ironica vis narcisistica”. Claudio Magris: “una Spoon River triestina”. Giovanni Giudici: “C. è ben consapevole di capovolgere i limiti della sua peculiarità municipale in un respiro di sovranazionalità… Hohò Trieste del sì del da del ya è per lui una patria più grande…” Andrea Zanzotto: “… una figura di grande vigore morale e umano che sa far propri i drammi di tutti, dalle lotte della Resistenza al calvario degli ebrei, al sentimento di tante inutili stragi sulla sua terra…” Giovanni Giudici nella prefazione di Latitudine Nord: “Aristocratica e popolare, tragica e sorridente la poesia di C. si rivelò improvvisa a pochi e qualificati lettori… Più isolato dell’isolato Saba, C. è anche, rispetto a lui, più “irriverente”: giovane poeta che Trieste regala ai nostri grigi anni ottanta”.
Un poeta da scoprire, specialmente per le giovani generazioni che non hanno avuto occasione di conoscerlo, per altri un invito a rileggerlo, oggi, in una diversa prospettiva temporale.
Liriche senza titolo, senza segni d’interpunzione, versi brevissimi, estremamente concisi in un contesto a volte ridondante. Un linguaggio assai particolare, questo “esperanto poetico” che attinge i suoi termini da diverse lingue e culture. Il suo modo di esprimersi libero e geniale, senza inibizioni, si basa sulla forza stessa della parola. Lo stile fluido, denso di immagini possiede un interiore ritmo musicale. Questa qualità naturale ha fatto sì che diverse liriche fossero musicate. Con grande affinità di sentimenti il trombettista e compositore triestino Mario Fragiacomo ne ha dato un’efficace prova nel Cd intitolato, non a caso, Latitudine Est (1994) dove, inserendo i suoi versi più significativi, ha operato una singolare fusione fra musica e poesia.
(da “Le Giovanili”):
El poeta xe un putel
Che gioga col giocatolo
Alfabeto
Giogo pericoloso
Solitario
Con venticinque segni
Tragico ma vario
Nel combinar disegni
Vocali e consonanti
Tenere e dure
Zitte o pur cantanti
Chi vinzi in pien
Combina l’Odissea
Chi perdi lassa tuto
Sul tavolin de zogo
L’estro e la fantasia
L’ispirazion de fogo
E resta sordo e muto
E solo el se consola
Tirandose a la tempia
Un colpo de pistola
(da “Mondo di ieri”):
Ventitrè maggio
A Doberdò se mori
Omini in grigio verde
Altri in azzurro acuto
Se copa tra de lori
In prima fila
Golob l’alfier
Ordina l’assalto
Grigioverde trincea
D’azzurro se colora
Morti bestemmie urli
Svola fresco un hurrà
Po tutto zitto
Golob per terra
In mezzo de la fronte
Un papavero rosso
Largo se ghe disegna
Come fiorì d’incanto
Coverto de bandiera
Solo del morto
Una scarpazza nera
(sempre da “Mondo di ieri”)
Agosto del quattordici
Giovanni Lin
Richiamato
Alpin
Copar no vol
Omini come lui
I kaiserjegher
Svoda giberne
Zo per la Bainsizza
E sul moschetto
Romantica protesta
L’intorcola un fioretto
Altro no resta
De far
Contro la guerra
Condannà per codardia
Sei anni de fortezza
Zo a Gaeta
Giovanni Lin
Anima de poeta
Varda tra l’inferriade
El mar libero
Pitturado in blu
Con una vela gialla
Tutta vento de vita
(da “Le clandestine”):
Arone Pakitz
Ebreo coi rizzi
Del ghetto de Cracovia
Un misirizzi*
Import-Export
Morto a Varsavia
Suo fio Simon
Chirurgo a Vienna
Fatto baron
Per ordine del Kaiser
Morto a Gorizia
Paola sua fia
Cantante d’operetta
Fatta savon
Per ordine del Führer
Morta a Mathausen
(* un pupazzo che resta sempre in piedi)
(sempre da “Le clandestine”):
Fuma el camin
Mattina e sera
Del lagher de Mathausen
Grande fradel de quel
De la Risiera
Lagrime e sangue
Piovi su Trieste
Lotte Hen
Camicia bruna
E svastica sul brazzo
Al suo primo servizio
Al “Bloko 33”
Donne e bambini
Morsigar de coscienza
Disi el Kapò
Perchè
Su femo i bravi
In fondo xe un brusar
Ebrei e slavi
Intanto a Ginevra
Stasera “Parsifal”
Di Richard Wagner
Toscanini dirige
(da “Il Ponterosso”):
Trieste
Un ponte pitturà de rosso
Il Ponterosso
Come due gambe storte
Traverso del Canal
Dessiné d’après nature
Cassas e Lavallé
Vietato il riprodurre
Un sbatociar
De barche e de battane
“Ema” “Sgombro” “Rodolfo”
E fora del Canal
In mezzo al golfo
Un vapor in àncora per sempre
“Stadium” el suo nome
Con tanti oblò
Doppiadi sora el mar
Tutto e tutti
Passa el Ponterosso
Revoltella in carrozza con gli Asburgo
Turbanti levantini
Odori de halvà e pesce fritto
E greci e turchi
E dalmati e croati
E svevi de la Bieska
Ebrei de Weimar
A zavattar per metter banchi
E passa una slovena
Del Kamnik
No la trova el suo amor
Fabbro de fin
Ferro batù de Kropa
perso el se ga nel vardar onde
Carri e cavai
De Pinzgau
Coi zoccoli a tamburo
E lupolo per Dreher
E jazzo per sorbetti
Che cala de Postojna
Pianelle furlanute
Cadorini e Ciarniei
Regnicoli e Ungheresi
Ponterosso
Del mondo gran corona
E mi son tutto fiamma
De vento son vestì
Coi nuvoli fumando
E ciacolo con l’Angelo
Come inciodà de sora dei camini
Con l’elmo dei gendarmi
Color giallo d’argilla
Barba spartida
Come l’Imperator
E vedo ancora
Angeli e lune
Come nei quadri
Di monsieur Chagall
Un ponte pitturà de rosso
Il Ponterosso
Su l’Adriatico estremo
Sotto el crinal del Carso
Con l’ultima Sirena
Che me smaga
La bella Lau
E digo
Strenzi el tutto
E slarga el Ponterosso
Ombelico del mondo
O mia Trieste
Stupida e cattiva
(sempre da “Il Ponterosso”):
Hohò Trieste
Città del mondo
Balorda e coccolona
Senza creste
Zufoli flà flà
O Trieste
Vestida a la birbona
Maia de mariner
Cotole a pieghe
Gambe cavalle
In scarpe carsoline
Hohò Trieste
Lunatica nervosa
Imborezzo de feste
Groppo de sentimenti
Del nord ocio celeste
Del sud pelle de sol
E satanassi in corpo
Asmodeo con Tobia
Lotta che mai finissi
Hohò Trieste
E la Locanda Granda
Carlo colonna
Sesto d’Asburgo
Canto de Saba
Colori de Veruda
Prosa de Svevo
Questio Vivante
Palazzo de Carciotti
E de Plenario
Barche in Canal
E mussoli ai cantoni
Da Servola a Roian
Da Opcina a Dolina
Strenzemose la man
Monte e marina
Hohò trieste
Contime le fiabe
De Smito e de Popò
De sior Intento
Strighezzi de la nonna
In dondolo sentada
Ghirigori parole
Tiritere colori
Coriandoli allegria
Nonna
Son sempre mi
El putel vestì
De mariner
Su la berretta
El nastro “Tegetthoff”
E la franzetta
Bionda dei cavei
Ben pettinada
Hohò Trieste
Del sì del da del ja
Tre spade de tormenti
Tre strade tutte incontri
O Trieste
Piazze contrade androne
Piere del Carso
Acqua de marina
Tutte t’ingrazia
Mettile in vetrina
E mi insempià
Col naso contro vetro
Vardo e me godo
Le bellezze tue
Hohò Trieste
Filtro che inverdissi
Sui pastini riposa
El mio cantar
Coi ghiribissi
Dei refoli de bora
Dei rizzi d’onda
Dei nuvoli a sfilazzi
O Trieste
Caro viso
Adorabile volto
Inferno e paradiso
Mio albero cressù
Dentro de mi
Con la radise in cuor
Col fior in bocca
Senti Trieste
El mio hohò
Forte innervà
Come l’onda
Contro la scogliera
Piantada fonda
Tra Barcola e Duin
La “Lepa Vida”
Prinz Thurn und Taxis
Trieste colibrì
O superstar
Mondo Trieste
Con quel tuo far
Sportivo e tirabasi
Eccote sul piedestal
In passerella
Battè martei
Sora scarpei
Cave de Nabresina
Alla mia bella
Aliga e tiglio
Modelleghe le man
Che sa far tutto
Prore vanghe
Fòndaci negozi
E ste poesie
De mi
Sconte in Certosa
Amici
Calice in alto
Sangue de Domovoi
Ecco el Terran
In gran pavese
El Lloyd
Vesti vapori
Salve barone Bruck
Bevo al tuo sogno
Settanta milioni
De nuvoli cavalco
Hihì hihì cavallo
Trotta ginetto
La mamma vien dal ballo
Hohò Trieste
“Es klingt und singt das blaue Meer”
O Trieste
Baso de Ninfa
Come cantava Max
Fiore d’Asburgo
Purtroppo il poeta che dimostrava di saper capire e descrivere così visceralmente la città “del sì del da del ja” non seppe intraprendere con lei un rapporto confidenziale altrettanto stretto, non ricevendo mai in cambio lo stesso amore che aveva dato. Eppure dai suoi versi intrisi nei colori del paesaggio triestino il sentimento tende a espandersi universalmente fino a diventare un tutto con la terra dove è nato.
(da “Il Portolano”):
Mi no so roba più bela
Che nudar in mar averto
Bordizar po’ con la vela
Sotto costa a Miramar
Mi so so roba più bela
Quando el mar xe tuto rizzi
A sognar ‘na parentela
Co delfin lustro de sol
Mi no so roba più bela
Quando refola la bora
Al caffè parlar con ela
E no dir e dir no dir
Mi no so roba più granda
Del sentir d’esser qua nato
E gustar l’odor che manda
Sta maturla mia città