Beethoven, genio difficile
biografie | Charles Klopp | Il Ponte rosso N° 69 | maggio 2021
Un attento studio musicologico e allo stesso tempo una biografia esauriente
di Charles Klopp
Nel 2020 si è celebrato il 250º anniversario della nascita di Beethoven con esecuzioni della sua musica (alla radio e alla televisione più che in pubblico, data la pandemia) e con pubblicazioni in molte lingue che esaminavano la sua musica e i fatti e le leggende della sua vita. Fra le più apprezzabili di queste è la biografia e studio critico steso con grande brio e intelligenza dal dotto musicologo ed esperto musicista belga, Jan Caeyers. Il suo Beethoven: een biografie era stato pubblicato originariamente nel 2009, ad Amsterdam e in olandese. Poi, nell’anno anniversario, la Mondadori l’ha riproposto in una traduzione di Stefano Musilli con il titolo: Beethoven. Ritratto di un genio. L’edizione italiana è stata riveduta e assai aumentata per l’occasione; il nuovo libro consta di più di 600 pagine mentre l’edizione in olandese ne aveva solo 400. Nello stesso anno della pubblicazione in italiano, il libro è apparso in inglese (Beethoven: A Life, University of California Press, 2020) anch’essa riveduta e aumentata e con l’aggiunta di 47 illustrazioni che non fanno parte dell’edizione italiana.
Il libro di Caeyers contiene 59 capitoletti ciascuno con un titolo descrittivo. I capitoli sono organizzati cronologicamente in cinque sezioni. Un attento studio musicologico e allo stesso tempo una biografia alquanto esauriente, il libro esamina tutta (o quasi tutta) la musica di Beethoven e tratta tutti gli eventi importanti della sua vita in una disamina sostenuta sempre dal contesto storico, politico, e culturale degli eventi personali e musicali in questione. Il volume, quindi, può essere considerato un contributo significativo alla storia culturale del periodo che va dai tempi dell’ascesa di Napoleone fino al Congresso di Vienna e agli anni immediatamente successivi—lo stesso periodo che nella storia della cultura italiana è contrassegnato dalle attività letterarie di Giacomo Leopardi, un altro genio dalla vita tormentata che poi raggiunse cospicua fama mondiale. In aggiunta alle informazioni storiche, nel libro di Caeyers le discussioni culturali e musicali sono corredate in molti casi da esempi precisi di brani musicali stampati direttamente nel testo.
Ludwig van Beethoven fu pronipote di Michael van Beethoven, un fornaio fiammingo. Proveniva quindi da una famiglia non povera ma modestamente benestante; i Beethoven non erano ricchi e certamente non erano nobili ma onesti e talvolta geniali lavoratori. Fin dalla sua adolescenza, Ludwig guadagnava la vita come musicista professionale. Nei contesti sociali che frequentava conobbe già da giovane i conflitti di classe e ne soffriva, e ne avrebbe sofferto di più da uomo maturo. Ma nel suo caso si trattava di scontri sociali insoliti dato che Beethoven frequentava e fu ammirato e lusingato da imperatori, nobili, e altri potenti, nonché dai musicisti del suo periodo. Fra questi c’erano anche degli aristocratici dilettanti di musica, caso frequente in quell’epoca, specialmente a Vienna. Ai tempi di Beethoven, nota Caeyers, c’erano ben sei mila pianisti dilettanti e 300 insegnanti di pianoforte attivi nella città danubiana. La presenza a Vienna di altri pilastri della storia della musica come Mozart e poi, dopo la sua morte prematura, di Haydn, Salieri, e, negli ultimi anni, successori di Beethoven come Schubert e Rossini (che Beethoven non apprezzava, a differenza del pubblico viennese), ed altri. In questo ambiente popolato di giganti della storia della musica Beethoven era conscio delle sue competenze musicali e creative e si considerava superiore agli altri musicisti dei suoi tempi e anche ai suoi benefattori nobili, non solo come musicista ma anche come uomo. Si racconta, secondo Caeyers, che una volta al Principe Lichnowsky un Beethoven stizzito per qualcosa che il principe gli aveva detto, avrebbe risposto: «Di principi ce ne sono e ce ne saranno ancora a migliaia, ma di Beethoven, ce n’è uno solo» (p. 107).
Anche con i musicisti suoi contemporanei Beethoven era capace di comportarsi alquanto bruscamente. Nell’ultima parte della sua vita quando non componeva quasi più per il pianoforte ma si dedicava invece alla musica sinfonica e da camera, avrebbe detto a un violinista che si lamentava delle difficoltà della sua parte in uno dei quartetti: «Credi davvero che pensi al tuo miserevole violino quando sono attraversato da un sentimento?» (p. 297).
Durante tutta la sua vita ma specialmente negli ultimi anni Beethoven dovette affrontare la diffidenza di critici e di certi settori del pubblico per componimenti considerati difficili da eseguire e in definitiva incomprensibili: una reazione, però che può provare il carattere di novità assoluta e anche il valore della musica in questione. Nel 1803, ad esempio, gli ascoltatori presenti alla sua prima rappresentazione della sinfonia numero 3, “L’eroica,” non la gradirono,mentre oggi quel componimento è considerato una pietra miliare nella storia della musica e non solo della musica beethoveniana (p. 246).
Beethoven aveva anche delle difficoltà con le case editrici, fonte importante di guadagni, specialmente quando non si esibiva più come pianista. Loro trovavano il maestro un cliente irritabile e spesso infedele, e probabilmente lo era, dato che nel corso della sua carriera si servì di una quarantina di case editrici diverse (p. 215).
Quella di Beethoven fu una vita trionfale, ma anche estremamente melanconica: trionfale perché gli consentì di transitare dalle classi meno abbienti per inserirsi nei più alti ranghi delle società europee fino a diventare uno degli uomini più famosi del suo tempo. Ma anche melancolica perché colma di dolori fisici e psicologici. Il grande musicista, per esempio, non stabilì mai una relazione sentimentale duratura né con una donna né con gli altri componenti della sua famiglia, compreso, negli ultimi anni, un nipotino egoista e poco riconoscente degli aiuti e sentimenti affettuosi del suo zio famoso. Fra i dolori più angosciosi di Beethoven c’era soprattutto la sordità che divenne totale negli ultimi anni della sua vita. A proposito di questa sordità, Caeyers suggerisce che ciò che potrebbe essere considerata come la tragedia più grande della vita di Beethoven potrebbe anche essere considerata una svolta benefica per la sua carriera da compositore. Parlando della lettera nota come il Testamento di Heiligestadt, in cui Beethoven si lamentava tristemente della sua incapacità a sentire, Caeyers osserva che l’inabilità di suonare il piano in pubblico e perfino di sentire ciò che scriveva (azione che negli ultimi anni il maestro compiva non più alla tastiera ma direttamente sulla carta stesa sulla sua scrivania) gli sarebbe potuta benissimo servire come stimolo a comporre di più e a creare musica come nessun altro prima di lui. «Proprio come i grandi eroi che ammirava – conclude Caeyers – anche Beethoven dovette dunque soffrire per poter superare sé stesso e regalare all’umanità opere grandiose» (p. 198).
Nel suo saggio Caeyers sottolinea quanto Beethoven fosse un figlio del nuovo secolo, anzi figlio di una nuova età storica: «il prototipo dell’artista moderno: specializzato, monolitico e a tratti monomaniaco, dinamico e idealista, insaziabile e intransigente, irrequieto e ossessivo» (p. 357). Grande innovatore, Beethoven raggiunse molti primati nella storia della musica. Fu fra i primi virtuosi del nuovo strumento del pianoforte. Perché anche se oggi la musica di Mozart e di Haydn è regolarmente eseguita al pianoforte, ciò non succedeva quando questi predecessori di Beethoven erano vivi. Da un punto di vista tecnico, Beethoven è stato fra i primissimi a sfruttare le possibilità del nuovo strumento musicale, di cui durante la sua carriera da pianista sperimentava diversi tipi man mano che uscivano dalle fabbriche di diversi paesi europei.
Da compositore, il Beethoven maturo lasciava minori iniziative ai musicisti che eseguivano la sua musica. Sotto la sua direzione la partitura divenne un “testo” fisso e dominante e non più soltanto un suggerimento per rappresentazioni diverse da musicisti più o meno creativi. Ora era il compositore della musica e non il musicista l’elemento più importante in un concerto. Nella stessa maniera, i quartetti per archi che il maestro tedesco scrisse verso la fine della sua vita non erano indirizzati più a dilettanti, com’era stato prima di lui, ma richiedevano le abilità di professionisti, se non di virtuosi. In un altro distacco dalla tradizione vigente ai suoi tempi, in moltissimi casi Beethoven si serviva di motivi originali invece che di temi presi dalla musica popolare o folkloristica. La sua era ed è una musica non sempre o non soltanto bella ma che vorrebbe fornire ai suoi uditori una soddisfazione diversa e forse più profonda e di più grande valore che non un semplice diletto estetico.
Per sottolineare questo aspetto della musica del soggetto della sua biografia, Caeyers intitola uno dei suoi capitoli La fine della sinfonia classica. Parlando della Settima Sinfonia in tale capitolo, dice che quando si ascolta questo lavoro «si ha l’impressione che Beethoven avesse voluto portare più in là il linguaggio sinfonico». L’innovazione principale della Settima, continua, è di essere «fondamentalmente non melodica, non armonica e non tonale. A dominarla è il ritmo». Poi conclude che «nessuno prima di allora aveva tentato un esperimento simile, e si sarebbe dovuto attendere il Novecento perché altri compositori, come per esempio Stravinskij, si azzardassero a percorrere una strada simile» (p. 378).
Nel suo libro Caeyers lotta continuamente contro le tante leggende che incrostano le biografie del suo soggetto. Da studioso scrupoloso, si sente costretto a contestare, in molti casi, le interpretazioni e le presentazioni dei fatti della vita di Beethoven fornite da altri biografi e interpreti. Per ragioni svariate, il record storico beethoveniano è quanto mai disordinato e incompleto. Delle diecimila lettere della corrispondenza del maestro, ad esempio, soltanto duemila ci sono pervenute. Poi c’è stata la distruzione dopo la sua morte dei tanti quaderni di schizzi e di note musicali che se ci fossero pervenuti avrebbero probabilmente potuto illuminare numerosi aspetti dei modi di creare del maestro. Inoltre, a livello biografico, c’è l’enigma dell’immortale amata, cioè la donna presumibilmente amata alla disperazione da Beethoven, che Caeyers conclude, anche se molto cautamente, esser stata la madre di una bambina di nome Minona, anagrammaticamente “Anonim” o “senza nome,” che era probabilmente figlia anche di Beethoven. Ma anche in questo caso la discussione condotta da Caeyers, come quelle di tanti altri simili enigmi nel suo libro, è dettagliata, misurata, e portata avanti con grande prudenza.
Di fronte al grande numero di lacune nella documentazione della vita del suo soggetto e come storico dotato di un’immaginazione vivace, l’autore di questa biografia si è azzardato in molti casi a riflettere su come, se un dato evento fosse andato diversamente, il corso della storia sarebbe stato diverso: una mossa da studioso che oggi si vorrebbe chiamare di fantastoria o storia virtuale. Così, se Beethoven avesse studiato da giovane con Mozart – come sarebbe stato possibile – Caeyers si chiede quanto sarebbe stata diversa la storia della musica, considerato che forse il giovane studente sarebbe stato sopraffatto dal genio del suo insegnante. Oppure, se Beethoven non fosse stato afflitto dalla sua sordità totale e per questa ragione fosse stato forzato ad abbandonare la sua carriera di pianista e dedicarsi completamente alla composizione, la storia della sinfonia e della musica in generale sarebbe stata un’altra? Oppure, a livello personale, se avesse sposato la presunta “immortale amata,” Josephine Brunsvik? «Non sapremo mai» dice il biografo a proposito di questa svolta fondamentale nella vita del musicista, «che cosa sarebbe successo se nel settembre del 1807 Josephine e Beethoven avessero deciso di sposarsi» (p. 260). In tal caso, l’autore sembrerebbe suggerire, la musica degli ultimi due decenni della vita del compositore, gli anni del grande Beethoven “tardivo,” sarebbe stata forse meno tragica e meno straordinaria.
Una delle frustrazioni principali per Caeyers come per altri biografi del maestro tedesco è dovuta al fatto che tanti documenti che avrebbero potuto illuminare questi e altri aspetti cruciali della vita emozionale del suo soggetto sono stati perduti. Primi fra questi sono i quaderni di cui cominciando nel 1818 si serviva un Beethoven sordo per comunicare con gli altri. Moltissimi di questi sono stati distrutti e in alcuni casi addirittura falsificati dal primo biografo di Beethoven, Anton Felix Shindler. Solo negli anni Settanta del secolo scorso, e grazie a progressi fatti in tempi di guerra nella scienza di criptografia, si scoprì che Schindler aveva falsificato alcuni punti fondamentali nella storia della vita e della musica di Beethoven e che molte discussioni sulla sua musica erano basate perciò su informazioni false. Forse questa è una delle ragioni perché Caeyers non poteva resistere alla tentazione di congetturare su ciò che avrebbe potuto scrivere se avesse potuto consultare questi documenti preziosi andati perduti.
In conclusione, questa è una biografia scritta da uno studioso e artista di altissime qualità, di grande tatto, e di gusti raffinati. Caeyers ha esaminato tutte le importanti fonti esistenti in molte lingue diverse, e ha fatto anche delle ricerche ulteriori alla Beethoven Haus a Bonn. A proposito di biografie di Beethoven, molti lettori del Ponte Rosso sapranno che a Trieste, su una casa sulla Riva Grumula, c’è una targa che commemora la vita e le attività di Alexander Wheelock Thayer. Thayer visse fra 1817 e 1897 e fu giornalista, scrittore, e storico prima di diventare console degli Stati Uniti d’America a Trieste. Per un lungo periodo della sua vita, prima e dopo il suo ingresso nella carriera consolare, Thayer si dedicò ai fatti della vita di Beethoven. Scrisse, infatti, la prima parte di una biografia in più volumi del maestro tedesco che fu pubblicata a cominciare dal 1866 e poi portata a termine da altri. Seconda la targa, che è stata affissa nel 1970 sulla casa una volta di Thayer, si legge che il console americano fu «autore della più importante biografia di Beethoven». Oggi, dopo aver letto il bellissimo libro di Jan Caeyers, si è tentati di chiedere se l’asserzione su questa targa è sempre valida. O se Thayer, invece, fosse stato soltanto un precursore importante in questo campi di studi.
Jan Caeyers
Beethoven
Ritratto di un genio
traduzione di Stefano Musilli
Mondadori, Milano 2020
- 655, euro 35,00