Astrazioni (geometriche e no) di Danilo Jejčič
agosto 2016 | Il Ponte rosso N° 15 | mostre in regione
A Gorizia un’antologica dell’artista sloveno
Per iniziativa dei Musei Provinciali di Gorizia, Palazzo Attems Petzenstein ha ospitato dal 17 giugno al 31 luglio un’importante antologica del pittore, noto soprattutto in quanto incisore, Danilo Jejčič, nato nel 1933 ad Aidussina (Ajdovščina), dove vive e lavora, sicuramente una delle più rappresentative personalità dell’astrattismo sloveno.
Formatosi a Lubiana, dapprima, tra il 1948 e il 1953, presso la Scuola di Artigianato artistico e successivamente, dal ’54 al ’58, studiando pittura all’Accademia delle arti figurative, sotto la guida di Marij Pregelj e poi di Gabriel Stupica, col quale si diplomò nel 1971. Come si può constatare osservando anche superficialmente l’opera di tali suoi due maestri, gli anni della formazione accademica erano per gli artisti della ex Jugoslavia quelli del definitivo ripudio dell’estetica del realismo socialista e dunque della ricerca di consonanze con la coeva arte occidentale. In questo senso è da valutare un olio di Jejčič, ancora allievo dell’ultimo anno, (non presente in mostra) chiaramente ispirato a Cézanne, una Natura morta con tovaglia rossa, da cui non è difficile presagire gli sviluppi futuri dell’arte del giovane allievo, ove si presti attenzione alla riduzione degli oggetti rappresentati alle forme geometriche essenziali, operata dal maestro francese, soprattutto esaltando i solidi e principalmente la sfera e il cilindro, che, come si può osservare anche nell’esposizione goriziana, tanta parte hanno avuto nei lavori dell’artista sloveno.
Dopo il completamento del percorso formativo, ritornato ad Aidussina, Jejčič si dedicò all’insegnamento di materie artistiche e quindi, dal 1973 al 1976, fu curatore presso la nuova Galleria d’arte Veno Pilon.
La vicinanza della località di residenza dell’artista al confine con l’Italia facilitò una proficua serie di contatti con autori isontini, sia italiani che appartenenti alla minoranza slovena, coi quali anzi si consociò nei gruppi 2XGO e, più tardi, nel Laboratorio 7.
La progressiva apertura alla contemporanea arte occidentale, che vide ospitate a Lubiana in diverse occasioni opere di Robert Rauschenberg (e altri maestri americani), fornì a Jejčič spunti di riflessione che lo portarono alla produzione, nei primi anni Sessanta, di collage, talvolta su supporto di vetro, alcuni dei quali presenti alla mostra goriziana, in apertura del percorso espositivo. Fin da tali opere che potremmo definire d’esordio, dunque, un’esplicita professione di fede nei confronti dell’astrattismo, declinato con grande attenzione al ritmo compositivo. A tale interessante esordio seguì un prolungato periodo, un intero lustro, d’inattività artistica. Alla ripresa, le sue sperimentazioni lo sospingono verso la creazione di opere anche tridimensionali, bassorilievi e sculture a tutto tondo dipinte, a forte connotazione geometrica, costruite con materiali e tecniche del tutto lontani dalla pittura tradizionale, sovente poliestere, ABS o legno verniciato a specchio nei colori fondamentali. Per i materiali sintetici, l’artista eseguiva uno stampo in cui successivamente veniva colato il materiale, procedendo quindi in maniera seriale. Era, del resto, un periodo in cui, anche grazie al crescente interesse per il design industriale, si riducevano fino a scomparire le divisioni tra arti cosiddette applicate e arti per così dire “maggiori”, mentre si accentuava il ricorso alla semplificazione geometrica, che si allontanava dal soggettivismo tradizionale della pittura “alta” per ricercare una possibile oggettività nella trascrizione figurativa.
Tutte le opere di Jejčič successive al 1970, come osserva nel saggio introduttivo del catalogo Jure Mikuž, stanno a dimostrare che fin d’allora “egli non perseguiva la resa mimetica secondo la tradizione figurativa, ma piuttosto in base alle regole del costruttivismo, cercando di riprodurre con esattezza la schematicità astratta delle forme e dei volumi geometrici”.
Mentre, negli anni Settanta, cresceva ovunque l’interesse per l’arte cinetica e l’op art, anche l’attività di Jejčič si orientò verso l’astrazione geometrica, aiutata in questo dalla padronanza acquista dall’artista in ambito grafico sulla tecnica serigrafica, particolarmente confacente alle necessità di precisione nel disegno e del comporre l’immagine mediante ampie campiture nelle quali il colore è distribuito con il massimo di omogeneità, accentuando il carattere di astrazione delle figure geometriche o dei solidi chiamati in causa dall’inventiva dell’artefice, talvolta allo scopo di interferire con la percezione dell’osservatore, sospingendola verso l’illusione ottica, ad esempio inducendo all’inganno dell’apparente dinamicità di un’immagine in effetti statica.
Una rappresentazione più diretta della realtà ha sospinto Jejčič verso la fotografia, che l’artista ha utilizzato spesso come strumento di preoccupata denuncia ecologica ma al contempo di contemplazione ancora una volta tendente all’astrattismo di dettagli di muri sgretolati, o trattati per essere rivestiti di piastrelle ormai rimosse, segni inquietanti di una presenza umana invasiva e incurante di celare il suo devastante passaggio.
La rassegna di Palazzo Attems Petzenstein dà conto di tutta la poliedrica attività dell’artista, seguendone con completezza le tracce lasciate a identificare il sul suo itinerario creativo, coerente e di grande suggestione.
Didascalie:
Alfa e Omega XXVIII
(Metallica III)
Serigrafia a colori, 2012