Alphonse Mucha a Bologna
ici a Paris | Il Ponte rosso N° 38 | Maria Cristina Nascosi Sandri | ottobre 2018
di Maria Cristina Nascosi Sandri
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Le testimonianze in un’importante retrospettiva a Palazzo Pallavicini di Bologna e, in contemporanea, a Parigi in una mostra da vedere al Musée du Luxembourg (vedi il filmato Youtube), ambedue fino a fine gennaio 2019.
Palazzo Pallavicini, nel cuore dell’antica Bologna (via San Felice 22), è un’elegante dimora settecentesca, che pone le sue fondamenta in epoca umanistico – rinascimentale. Abitata in passato da grandi famiglie nobili, nel 1770 accolse l’esibizione dell’allora quattordicenne fanciullo prodigio Wolfgang Amadeus Mozart, accompagnato dal padre Leopold per uno dei suoi tre viaggi di formazione musicale in Italia, complice e docente Padre Martini, allora nume tutelare della cultura musicale europea.
Oggi il Palazzo, risorto a nuova vita da circa un anno, grazie ad un restauro filologicamente splendido, è sede di esposizioni museali di rilievo come quella che aprì a settembre 2017 la nuova teoria di eventi dedicata a Milo Manara, seguita poi dall’eccellente raccolta fotografica riferita all’incredibile e misconosciuta Vivian Maier.
A seguire, pochi giorni fa ha dischiuso i battenti una splendida mostra dedicata ad un artista che mancava da molti anni dalla scena culturale italiana, Alphonse Mucha, pittore, scultore, grafico, cartellonista e molto, molto di più, di origine morava, poi naturalizzato parigino. L’imperdibile retrospettiva offre uno sguardo a 360° su uno dei più grandi ed intelligenti artisti appartenenti alla corrente dell’Art Nouveau – il cosiddetto Liberty in Inghilterra, lo Stile floreale in Italia e lo Jugendstil in Austria.
Agli occhi del visitatore in offerta più di 80 opere scelte tra le più conosciute del ceco Mucha, ma di esse almeno trenta sono esposte per la prima volta in Italia.
È uno sguardo a tutto tondo davvero inedito sull’opera di un artista che realizzò capolavori utilizzando il suo estro anche in applicazioni considerate forse inferiori, le cosiddette Arti Applicate, le Handcraft, e l’Art Nouveau ne è il penultimo esempio, se si considera poi il Futurismo. Addirittura si dedicò alle suppellettili, alle confezioni di lancio per profumi, per biscotti raffinati ed, in special modo, alla cartellonistica, dapprima teatrale poi decisamente pubblicitaria, manifestando una vocazione imprenditoriale antesignana che unita alla cultura, all’eleganza, al gusto per la raffinata bellezza diede frutti straordinari ed insperati al suo artefice. Amante della fotografia, ne ‘anticipò’ l’uso anche a fini utilitaristici per le sue variegate forme d’arte.
La mostra è curata da Tomoko Sato, studiosa di storia dell’arte e dell’architettura all’Università di Reading e scienze museali all’Università di Manchester. Ha lavorato come curatrice alla Barbican Art Gallery di Londra e dal 2007 è curatrice della Mucha Foundation. Ha curato numerose mostre su Alphonse Mucha, l’arte moderna, il design e la fotografia. L’esposizione è organizzata da Chiara Campagnoli, Rubens Fogacci e Deborah Petroni della Pallavicini srl in collaborazione con la già citata Mucha Foundation.
Alphonse Mucha (1860-1939) fu uno dei più celebrati ed influenti artisti della Parigi fin-de-siècle, dove aveva trovato fortuna, conosciuto ai più per le sue grafiche, come i cartelloni teatrali realizzati per l’attrice – mito Sarah Bernhardt e le sue immagini pubblicitarie con donne eleganti ed attraenti. Mucha creò un suo stile ben definito – le style Mucha – caratterizzato da composizioni armoniose, forme sinuose, riferimenti alla natura e colori pacati, che divenne sinonimo dell’emergente stile decorativo del periodo, appunto l’Art Nouveau.
La mostra si compone di tre sezioni tematiche: Donne – Icone e Muse, Le Style Mucha – Un Linguaggio Visivo, Bellezza – Il Potere dell’Ispirazione.
La prima sezione, Donne – Icone e Muse, si apre con Gismonda, il primo vero manifesto disegnato da Mucha per Sarah Bernhardt, la sua mecenate. Nella sua rappresentazione della più grande attrice francese del periodo, l’artista ceco trasforma la ‘divina Sarah’ in una dea bizantina. Il poster ricevette apprezzamenti immediati al suo apparire sui cartelloni di Parigi, il 1° gennaio 1895. L’impatto visivo – con la sua elegante forma allungata ed i delicati toni pastello che rendevano sublime l’immagine dell’attrice ed il suo equilibrio tra semplicità e dettaglio – era impressionante nella sua originalità. Compiaciuta per il successo di questo manifesto, la Bernhardt offrì a Mucha un contratto per produrre le scenografie ed i costumi di scena, così come tutti i manifesti delle sue rappresentazioni teatrali. Durante questo contratto, che andò dal 1895 al 1900, Mucha produsse altri sei manifesti per gli spettacoli della Bernhardt, tra cui La dama delle camelie (1896), Lorenzaccio (1896) e La Samaritana (1897).
Il successo della Gismonda portò a Mucha anche numerose commissioni per disegnare manifesti pubblicitari, tra cui quelli per marche famose come Job (carta per sigarette), Lefèvre-Utile (biscotti) e Waverley (biciclette americane).
La sezione include principalmente due gruppi di opere: manifesti teatrali su Sarah Bernhardt e manifesti pubblicitari per prodotti commerciali.
La seconda sezione ha come titolo Le Style Mucha – Un Linguaggio Visivo. Al tempo di Mucha, il concetto di ‘arte’ subì un cambiamento rivoluzionario con l’avvento del modernismo ed anche la nozione classica di ‘bellezza’, uno dei fondamenti dell’arte, fu messa alla prova e mutò fino ad abbracciare nuove idee e forme.
In un tale momento di fermento, Mucha cominciò la sua ricerca sul valore universale ed immutabile dell’arte e giunse alla conclusione che l’obiettivo ultimo della stessa fosse l’espressione della bellezza, che poteva a suo parere essere raggiunta solo attraverso l’armonia tra contenuti interni (idee, messaggi) e forme esterne.
Come scrisse nei suoi appunti di professore, che sono stati pubblicati postumi come Lezioni sull’Arte (1975), il ruolo dell’artista è quello di ispirare la gente tramite la bellezza armoniosa delle sue opere e di elevare la loro qualità di vita attraverso la sua arte. In fondo, un po’ il concetto ante-litteram de La Bellezza (e l’Arte) salverà (salveranno) il mondo.
Part. di un quadro di « L’Epopée slave » d’Alfons Mucha © Rieger Bertrand / Hemis.fr / AFP
La terza sezione è Bellezza – Il potere dell’ispirazione – chiude il percorso espositivo, gettando uno sguardo al linguaggio artistico con cui Alphonse Mucha espresse il suo nazionalismo una volta ritornato nella sua patria negli ultimi anni della sua vita.
Mucha, infatti, ritornò in patria nel 1910 per realizzare il suo sogno di impegnarsi attivamente per la libertà politica del suo Paese, impegno che culminò nella realizzazione della sua opera d’arte, Epopea Slava (1912-1926) ed altri lavori che dovevano ispirare l’unità spirituale dei popoli slavi.
Maria Cristina Nascosi Sandri