1969: i giorni di Economia
Il Ponte rosso N° 62 | Marinella Salvi | novembre 20 | storia
L’occupazione della Facoltà di Economia a Trieste nel dicembre 1969 raccontata come un caso di studio, ricordata giorno dopo giorno ma senza che risulti arida cronaca
di Marinella Salvi
Già fatta una scorpacciata di libri sul movimento studentesco, sui famigerati sessantottini, sugli anni in cui pareva che tutto fosse possibile? Certo i cinquant’anni dal ’68 hanno visto moltiplicarsi i titoli dedicati a quella stagione: ricordi, tanti, e protagonisti ancora con molta voglia di raccontarsi. Perché dovremmo aggiungere alla nostra biblioteca un titolo nuovo?
Parliamo di Microfisica di un movimento – Economia occupata. Trieste, dicembre 1969 scritto a due mai da Claudio Venza e Simonetta Lorigliola, una nuova pubblicazione che si aggiunge ai Quaderni dell’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia (IRSREC).
Perché, dunque? Già nella prefazione Marcello Flores ne riconosce la particolarità: questo libro “appartiene alla ristretta categoria di contributi storici capaci di ampliare lo sguardo ma anche di approfondirlo, mettendo in discussione e sottoponendo a verifica i giudizi storici più consolidati”. Nessuna conclusione storiografica, nessun giudizio morale o politico: parlano gli eventi e la ricerca di una loro spiegazione.
La differenza è tutta qua e non è una specificità da poco. L’occupazione della Facoltà di Economia a Trieste nel dicembre 1969 raccontata come un caso di studio, ricordata giorno dopo giorno ma senza che risulti arida cronaca. L’intrecciarsi degli avvenimenti, gli incontri umani e politici, le prese di posizione sempre più “ardite” sono analizzate con l’animo partecipe di chi c’era, di chi se ne è fatto carico, e vuole indicare, nel raccontare una storia passata, le potenzialità attualissime che questa storia sa ancora indicare. Nessuna nostalgia, piuttosto consapevolezza di quanto un evento collettivo abbia fatto maturare coscienze e illuminato percorsi.
C’è l’interno di una Facoltà universitaria, la sua realtà oscurantista e conservatrice, i suoi studenti abituati al trantran opaco di uno step da superare senza troppe preoccupazioni tanto il futuro sembra comunque garantito, per molti di loro, dall’agiatezza economica e sociale della famiglia. Un trantran che è necessario rivitalizzare, sul quale va costruito un quotidiano più interessante e godereccio: la goliardia, quindi, con le sue sfrenate esibizioni di potere che seminano umiliazione ma lasciano quel senso di onnipotenza che riproduce perfettamente la gerarchia sociale dove pochi spadroneggiano e tanti ne sono schiacciati. Non è immediato intuire che questo stato di cose possa cambiare, eppure è quello che ad un certo punto accade tra gli studenti della Facoltà. Complice l’allargamento degli accessi agli studi universitari e l’arrivo in Facoltà di studenti esterni a Trieste, in primis i tanti friulani che aspirano a studi superiori. A volte basta un fiammifero acceso perché altre luci si aggreghino e tutto venga illuminato.
Si parte dal proprio presente, da quello che pesa, e si mette in discussione il rapporto con i docenti, con la loro cinica arroganza, ci si accorge che ogni esame è una fatica psicologica e spesso un trauma perché è un vissuto asimmetrico, penoso, confezionato sembra proprio per mantenere la subalternità studentesca e costruire l’abitudine alla sottomissione anche per il futuro. Regole non scritte ma ben codificate nei comportamenti. Regole che si possono, si devono cambiare.
Ci sono allora le prime richieste che potremmo definire corporative, quel guardarsi dentro, quel riconoscere che nel proprio percorso universitario ci sono scogli che fanno male e che vanno tolti. Vuol dire incontri e scontri con le rappresentanze che da sempre tengono le redini sui parlamentini studenteschi e con il corpo accademico che non è abituato a misurarsi con richieste collettive di questa portata e tanto meno ad essere messo in discussione. Diventa un gioco di equilibri persi e riconquistati e di spiragli che aprono varchi e si continua a scavare mentre la falla si allarga e aumenta a voglia, la speranza, la determinazione ad arrivare in fondo al tunnel.
Gli obiettivi crescono, la voglia di cambiare tutto diventa urgenza come l’impellenza di parlarsi, confrontarsi, costruire assieme, distruggere assieme.
Occupare la Facoltà come il modo più visibile per gridare “ci siamo!”. Una decisione presa dopo un lungo lavorio, dopo un confronto per niente scontato, dopo che è maturata l’idea che l’Università è il luogo, anche fisico, degli studenti; che è fucina di una coscienza critica che sarebbe dovuta essere e che ora dovrà diventare.
L’occupazione di Economia si allarga, la sede dell’Università Nuova, dopo poche settimane, diventa fermento attivo. Facile il raccordo con Lettere, laggiù in centro città, già mobilitata da mesi e per alcuni versi avanguardia di visioni radicali.
La voce degli studenti esce dalle aule e si riverbera nelle strade, prende spazio nei giornali anche quando la si legge solo tra le righe. Ancora ricerca di alleanze, di spazi, di occasioni perché lottando si impara a lottare. L’antifascismo che si snoda nelle strade con grandi manifestazioni determinate, la prima volta che in piazza a Trieste uno studente sloveno prende la parola davanti a diecimila persone nella propria lingua: sicura emozione davanti alla foto che immortala tutta la forza liberatrice, rivoluzionaria, di quel solo episodio!
è accurata, nel libro, l’analisi dei quotidiani locali di quel periodo, un archivio di informazioni e atteggiamenti, un lento modificarsi di pregiudizi, il filtrare di parole d’ordine che escono dalle mura dell’ateneo per riversarsi in città.
Trovando punti comuni, lavorando per chiarirsi e chiarire, provando a salire sempre uno scalino in più, gli studenti misurano la loro forza che cresce e quel sentirsi protagonisti di una liberazione li incoraggia, come una spirale che si autoalimenta. C’è il territorio, è vero, c’è una società, fuori, c’è finalmente il chiedersi cosa si dovrebbe studiare, nell’interesse di chi lo si dovrebbe fare. Non immediato per quegli studenti a cui era sembrato che le materie scientifiche o tecniche fossero assiomi da assimilare. Un passo enorme quello di intuire che per cambiare la società fosse necessario cambiare il sapere, che la scienza e la tecnica dovessero essere messe al servizio del benessere comune. Partono da questo i seminari sul lavoro, sulla pace, e su tanto altro. Fino a realizzare progetti, fino a mettersi al lavoro consapevoli che le proprie conoscenze potessero costruire cose reali: ingegneri, giuristi, quanto da riscrivere e da proporre! La fantasia al potere, recitava uno slogan di quegli anni, ma una fantasia che costruisce, risolve, si prende cura.
Un escursus che supera le duecentosettanta pagine ma si legge piacevolmente: tante foto, tanta documentazione, tanto lavoro negli archivi e tante interviste davvero belle con altri protagonisti di quegli anni. Un libro che disaggrega un contesto aggrovigliato e lo rende fluido e coerente mettendo in fila, uno dopo l’altro, tutti gli elementi che ne hanno fatto un episodio enigmatico e potente. Per chi l’ha vissuto e vi ha forgiato una propria coerenza di vita, ma anche per quanto è stato seminato: perché non ci sono soltanto gli esempi, riportati nel libro, di realtà concrete nate da quell’esperienza, c’è un percorso delineato che invita a riflettere, a leggere di quel ieri girando lo sguardo all’oggi, capendo che la strada può essere lunga e accidentata ma si può costruire davvero molto se ci pensa e ci si vuole liberi assieme agli altri.
Claudio Venza
Simonetta Lorigliola
Microfisica di un movimento
Economia occupata
Trieste, dicembre 1969
Quaderni di Qualestoria 44
Irsrec FVG, Trieste 2019
- 278, euro 20,00