Fellini: omaggio del Trieste Film Festival
cinema | febbraio 2020 | Il Ponte rosso N° 53 | Stefano Crisafulli
di Stefano Crisafulli
I cento anni dalla nascita di Fellini sono stati celebrati, con la sezione specifica ‘Fellini Eastwest’, anche dal Trieste Film Festival, alla sua trentunesima edizione, ma in modo piuttosto originale: oltre alla proiezione del film E la nave va (1983), nella versione restaurata della Cineteca Nazionale (19/1), sabato 18 gennaio il pubblico triestino ha potuto vedere, al Rossetti, tre vere chicche. Si tratta di due interviste inedite sulla figura di Fellini e una terza con Fellini come protagonista. La prima è uno stralcio (ancor più eccezionale, in quanto non risultava neppure nel programma di sala) di una più lunga sessione di domande su Fellini rivolte da Giuliano Fratini al regista russo Marlen Chuciev, la seconda è un’intervista di Francesco Zippel al regista Wes Anderson e la terza, quella di cui ci occuperemo più in particolare, è un’intervista che Fellini ha rilasciato al regista Matej Minàč a Roma, durante le riprese del film La voce della luna.
In tutti e tre i casi il ritratto di Federico Fellini si arricchisce di particolari riguardanti il suo carattere, il suo modo di pensare il cinema e il rapporto con gli altri cineasti, nella fattispecie dell’est Europa. Ad esempio, il regista russo Marlen Chuciev ricorda che Fellini volle incontrarlo al Festival di Mosca nel 1963, dove sarebbe stato proiettato 8 e ½ (poi premiato dalla giuria), perché lui aveva delle difficoltà con il regime sovietico e che l’incontro avvenne in una sala ‘adeguatamente’ predisposta dalle autorità. Fellini gli sembrò molto delicato, quasi schivo e un’altra volta gli mandò un telegramma di auguri per un suo film passato alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel caso di Fantastic Mr Fellini, omaggio al regista riminese da parte del collega Wes Anderson (autore, tra l’altro, di Grand Hotel Budapest), il documentarista Francesco Zippel ha voluto inserire, nell’intervista, alcune frasi di Fellini lette dalla voce di Stefano Accorsi (da riascoltare più volte quella sul valore del sogno, della creatività e dell’immaginazione) e delle scene di un cortometraggio di Anderson, Castello Cavalcanti.
Ma è Interview s Maestrom Federicom Fellinim, ovvero, in italiano, l’Intervista al Maestro Federico Fellini di Matej Minàč, regista originario di Bratislava, a sorprendere di più, non solo per l’intervista in sé, che purtroppo è andata in parte perduta, finendo, per errore, come materiale di scarto nei materassi dei soldati dell’Armata Rossa, ma anche per il racconto quasi epico del viaggio che nel 1989 Minàč ha dovuto affrontare con la sua troupe a bordo di una vecchia limousine col motore di un camioncino, che già alla partenza emetteva scintille e fumo: ‘Non so neanche come, ma ce l’abbiamo fatta – racconta Minàč dal palco del Rossetti – e siamo arrivati a Roma puntuali all’appuntamento’. Ad ogni modo, sia pure per soli 14 minuti, le immagini dell’intervista, condotta da un emozionatissimo Minàč (‘Per me Fellini era dio ed è difficile fare domande a un dio’) e le parole di Fellini rimangono impresse nella memoria. Quando, ad esempio, racconta che gli studi di Cinecittà sono il suo rifugio dal mondo esterno o quando afferma di non essere a suo agio con le interviste, le quali si rivelano, però un modo per dialogare col film che sta prendendo vita. I film, per Fellini, erano, infatti, come degli organismi viventi e ognuno di loro aveva un particolare temperamento, da scoprire via via che le riprese giungevano alla fine. Ma erano anche un modo per mettere in scena il proprio mondo interiore. Matej Minàč, che sin dai primi anni della sua carriera avrebbe voluto realizzare un film su Fellini e, nonostante le difficoltà, non volle mai darsi per vinto, sta per far uscire una commedia, Never Give Up, che racconterà proprio questo viaggio avventuroso per riuscire a fare l’intervista al Maestro, in onore, come si legge sul catalogo del festival, di ‘tutti i registi che non rinunciano ai loro sogni’.