Semantica della propaganda
Editoriale | Il Ponte rosso N° 47 | luglio 2019
La nostra storia recente è segnata da improvvise impennate e da altrettanto scoscese ricadute negli umori dell’opinione pubblica che si traducono con sempre più ravvicinata frequenza in sbalzi d’umore dell’elettorato, ma, al di fuori della materia d’analisi dei sondaggi e poi dei risultati elettorali, anche in oscillazioni agevolmente percepibili della variabilità di aspirazioni e di obiettivi che muovono la partecipazione dei cittadini.
Tra chi avesse visto i telegiornali della sera del 22 luglio, con l’omaggio tributato al feretro di Francesco Saverio Borrelli, ci sarà pur stato qualcuno che avrà rilevato la differenza tra le toghe assiepate a rendere l’estremo saluto al magistrato e le folle che, all’epoca di Mani pulite, assediavano il medesimo palazzo chiedendo agli inquirenti di non mollare. Tra le due immagini, certo, è passato più di un quarto di secolo, e le speranze che quel bagno di legalità prevalesse rispetto alla fogna della corruzione sono andate deluse, con la vittoria di quest’ultima sull’indicazione di «Resistere, resistere, resistere!» dell’allora procuratore capo.
In una prospettiva di dimensioni più cronachistiche che storiche, vediamo che il processo di spostamento del consenso si svolge oggi con ritmi assai più accelerati. Basti pensare al saliscendi dei consensi elettorali che, per esempio, assegnavano a un partito quasi il 41% alle europee del 2014, per farlo precipitare al 18% nelle seguenti elezioni politiche, oppure, cambiando obiettivo, far perdere la metà dei consensi da un anno all’altro al partito di maggioranza relativa dell’attuale Parlamento.
Una tale mobilità del corpo elettorale non può essere compresa appieno se non assegnando all’efficacia di slogan e delle campagne d’immagine – soprattutto legate alla figura dei vari leader – una valenza superiore a quella che avevano in passato, quando i riferimenti alle diverse culture politiche (qualcuno dirà con malcelato e malriposto disprezzo alle ideologie) giocavano un ruolo di primo piano nella formazione del consenso e nella fidelizzazione degli elettori.
La superficialità dell’attuale dibattito politico, basata assai più su tecniche pubblicitarie che su un autentico dialettico confronto di idee, impone allora di riflettere con serietà fin sui termini che ci vengono propinati dall’incessante cicaleccio di formule propagandistiche, spesso escogitate per nascondere più che per evidenziare la realtà. Comprendere cioè che non basta chiamare “Buona scuola” una riforma perché essa corrisponda alle mutate esigenze formative e del mercato del lavoro per le generazioni più giovani, come pure rasenta la blasfemia il tronfio tripudio di chi afferma di aver “abolito la povertà” nel nostro Paese.
Imporsi una sorta di filtro mentale può, in alcuni casi, risultare facile e soprattutto efficace per difendersi dalle più smaccate mistificazioni dialettiche: tradurre “pace fiscale” con “condono” che premia retroattivamente con condizioni agevolate i contribuenti infedeli, per esempio, aiuta il contribuente scrupoloso a identificare come un avversario della sua onestà il politico che adopera disinvoltamente quel fuorviante eufemismo.
Naturalmente, in altri casi il discorso si fa più complesso. Parlare di riduzione delle tasse, per esempio, è parlare di niente. Se per “tasse” si intende la tassazione derivante dall’imposizione diretta, magari spostando il gettito su quella indiretta, si compie un ulteriore dato di macelleria sociale, indirizzando l’interesse del fisco dai contribuenti che percepiscono un reddito alla generalità della platea dei consumatori.
Ancora molto sarebbe da dire, provando per esempio a riflettere sul termine “autonomia” che pressantemente agitano soprattutto le regioni più ricche del Paese, magari traducendolo mentalmente con “federalismo spinto” o addirittura con “secessione”, quest’ultimo naturalmente sparito del tutto o almeno accantonato dal dibattito ad opera del partito che i sondaggi indicano come maggioritario nelle intenzioni di voto. Si potrebbe continuare con una sfilza di altri sostantivi, cosa che ci ripromettiamo di fare in ulteriori momenti di analisi semantica.