Come eravamo, a Trieste

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di Adriana Donini e Claudio Venza

 

Proponiamo di seguito la trascrizione e riduzione di un intervento di Adriana Donini del 14 dicembre 2009 al corso di Storia dei partiti e dei movimenti politici tenuto dal prof. Claudio Venza presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Trieste e di parte del dibattito intervenuto con gli studenti

 

Donini

Il ‘68 non nasce dal nulla. Tutti gli anni Sessanta sono stati anni di grandissima elaborazione politica, culturale, critica. Il ’68 ha unificato tutte le tensioni di quegli anni e le ha portate al massimo modificando l’assetto sociale d’Italia.

Prima c’erano state le nuove lotte operaie, ad esempio della Fiat, con gli scontri di piazza Statuto del 1962 e altro. C’erano state tutte le promesse mancate di riforme del centrosinistra e anche un’elaborazione teorica critica rispetto all’esperienza del centrosinistra. Nascevano parecchie riviste che mettevano in crisi il marxismo ufficiale di allora.

Era un clima complessivo in cui si sentiva che tutto si muoveva.

All’interno di questo avviene anche la mia esperienza.

Da quando avevo 14 anni… Allora, io ero della FGCI, cioè della Federazione Giovanile Comunista, dove era nato un Circolo studenti qui a Trieste. In quel periodo le scuole a Trieste erano ancora dominate dai fascisti, c’erano gli scioperi contro il bilinguismo e riuscivano a portare gli studenti in piazza. Improvvisamente i fascisti non erano più in grado di fare questo.

Venza

Come è successo?

Donini

Per esempio, perché io mi sono messa davanti alla porta del Liceo (ride) facendo la crumira… facendo entrare tutto il ginnasio! E poi il ginnasio non ci stava più in qualche modo… Sì, beh, quella volta naturalmente era il Circolo studenti del PCI… quindi non ero solo io! Perché io davo volantini davanti alla porta, cose del genere, ma intorno c’erano i portuali, quindi la cosa poteva riuscire…

Venza

In caso di necessità…

Donini

Si è formata un’associazione di studenti democratici che ha avuto un ruolo abbastanza importante per unificare le esperienze che man mano si riuscivano a fare nelle varie scuole di Trieste.

Nel ‘64 io ero in terza Liceo al classico, e al Petrarca abbiamo destituito la rappresentanza studentesca che era in mano ai fascisti e abbiamo organizzato il tutto per assemblee di classe e di corso. Non era un’occupazione, non era un momento di lotta, però qualche cosa veniva fuori. Abbiamo fatto i contro-corsi: un contro-corso su Lenin, uno sull’economia triestina, e poi anche teatro, cucina, quello che poteva interessare agli studenti, proponendo quindi un modo di intendere la cultura diverso da quello che un Liceo classico di allora poteva propinare. E siamo riusciti anche a fare delle assemblee di corso in cui si metteva in crisi l’idea dei voti.

E si arriva proprio al ‘68.

Io ero iscritta a Lettere, dove abbiamo sempre lavorato in un gruppo, una decina di persone, forse un po’ di più, per arrivare all’occupazione. L’esperienza di Torino è stata molto importante per tutti noi, ed è stata raccontata in una sorta di diario da Guido Viale nei Quaderni piacentini [riferimenti ai documenti qui citati in Giampaolo Borghello, Antologia Cercando il ’68, edizione Forum 2018]. Io avevo due bibbie in quel momento: questa di Guido Viale e Berkeley.

Naturalmente l’esperienza americana è stata molto importante per tutti quelli che si sono mossi nel ’68, credo anche per gli occupanti di Palazzo Campana a Torino, perché anche loro avevano teorizzato la nonviolenza assoluta. Infatti, quando c’è stato lo sgombero, gli studenti venivano trascinati giù per le scale, presi per i piedi, loro non si muovevano, stavano lì e i poliziotti dovevano a uno a uno… Però ci hanno ripensato, poi. Un po’ di teste rotte ci sono state, insomma non ha dato frutti enormi.

E naturalmente anche le tesi di Trento (che cominciavano a circolare) erano molto interessanti.

Quali erano le tematiche su cui lavorare?

1) Crisi della rappresentanza: la democrazia non passa attraverso la rappresentanza, passa attraverso l’assemblea, la presa di parola diretta di chi in quel momento è in movimento, di chi ha delle richieste da fare, di chi “esiste” in qualche modo.

2) Critica al tipo di gestione dell’università: università e scuole ancora selettive, scarsamente interessanti per chi non sarebbe diventato necessariamente classe dirigente.

Comincia uno sfasamento tra quelli che erano gli studenti di una volta e gli studenti post ‘68. Gli studenti di una volta – Liceo classico, laurea, ecc. – erano figli di classe dirigente, destinati a essere classe dirigente. Ma nel ‘68 la situazione non era più questa perché c’era stata la grande riforma della scuola media, l’inizio di quella che poi verrà chiamata la scuola di massa e l’università di massa.

Fino a poco tempo prima la selezione, totalmente di classe, veniva fatta dopo la quinta elementare. Quando io sono andata in prima media, ho dovuto fare un esame d’ammissione. Gli altri, dopo la quinta elementare, andavano all’avviamento professionale che non consentiva poi una continuazione degli studi. Questo a dieci anni! Quindi era chiaramente una distinzione né di capacità o interessi, se non di famiglie che costruiscono i propri rampolli come futura classe dirigente e famiglie invece che son operaie e che quindi mandano i figli all’avviamento.

Don Milani… è stata un’altra delle nostre bibbie, ovviamente!

Nel ‘63 o ‘64, c’è stata la riforma della scuola media: abolizione dell’avviamento e tutti nella stessa situazione. La scuola media era unica. E questo ha invogliato moltissime persone a fare le superiori, anche se ancora non davano accesso a tutte le facoltà universitarie.

Una delle richieste – ottenute – con il ‘68 è anche quella dello sblocco delle facoltà universitarie. Quella volta soltanto chi aveva fatto il Liceo classico poteva scegliere qualsiasi facoltà universitaria. Chi aveva fatto lo Scientifico, poteva scegliere tutte meno che Lettere. Chi veniva dagli Istituti tecnici, aveva preclusioni enormi: dal Tecnico industriale, solo Ingegneria, se non mi sbaglio. Dal Tecnico commerciale, soltanto Economia. Dalle Magistrali soltanto… quella volta si chiamava Magistero, oggi sarebbe Scienze della formazione.

Questa gerarchia esplode dopo la riforma della scuola media unica, anche perché c’è una soggettività che porta la gente a invadere la scuola. C’è un boom in tutti gli anni Sessanta sia delle scuole medie che delle scuole superiori. L’accesso all’istruzione è una richiesta importante. Naturalmente chi tenta di accedere all’istruzione si trova di fronte a una scuola che è ancora organizzata – come contenuti, regole, gerarchie, ecc. – come quella selettiva che avevamo prima.

Ecco quindi: la critica alla selezione, la critica all’organizzazione degli studi, la critica alla scienza.

Venza

Cosa facevate a Trieste?

Donini

A Trieste ovviamente c’è tutto questo momento di preparazione dell’occupazione attraverso grandi letture, riunioni, assemblee, volantinaggi, fino a che si arriva a fine febbraio all’assemblea della Facoltà che decide per l’occupazione. È lo stesso periodo in cui quasi tutte le sedi universitarie, che non avevano ancora occupato in Italia, si muovono.

Insomma, decisa questa occupazione, il problema era dopo come organizzarsi.

Ci siamo organizzati per commissioni e gruppi di studio. E con l’assemblea quotidiana nel tardo pomeriggio/sera, per riportare le cose discusse nei gruppi e per decidere come continuare. Una commissione era sicuramente sul Piano Gui, piano che è stato la miccia scatenante di tutto il ’68.

Il Piano Gui era un piano di riforma delle università, quello che avete adesso voi, praticamente… (ride) Dopo un po’ di tempo il potere ce l’ha fatta. L’abbiamo bloccato per 30-35 anni. E prevedeva per l’appunto una laurea breve dopo due anni credo, quella volta, non tre; poi la laurea vera e propria e il dottorato di ricerca. Questo ha scatenato tutta l’ira degli studenti.

Venza

Perché questo andava nella direzione dell’aumento della selezione. Si diceva quindi che la laurea breve era destinata ai figli della classe povera che non possono permettersi una lunga permanenza.

Donini

Senza alcun dubbio era una selezione di classe a tre livelli.

Ma oltre alla selezione, c’è stata nel ‘68 una riflessione su che cosa è il sapere e l’importanza del sapere nella società, sul sapere che diventa produttivo. Si intravedeva in qualche modo la formazione dell’economia cognitiva, quella che abbiamo oggi. Allora eravamo nel pieno dell’economia produttiva, anzi all’ultimo della crisi dell’economia fordista.

Venza Vorrei una nota sull’economia fordista!

Donini

(ride) In sostanza c’è tutto un periodo dalla crisi del ‘29 e dal New Deal fino all’inizio degli anni Settanta in cui si parla nel mondo di economia fordista, cioè di una economia in cui il modello è l’organizzazione aziendale come alla Ford: ogni pezzetto di macchina è fatto sulla linea di montaggio, quindi senza nessuna autonomia del lavoratore. L’economia fordista però è anche un patto coi lavoratori. Dopo la crisi del ‘29, c’era il problema di un’enorme crisi di sovrapproduzione: uno dei modelli attraverso cui se ne è usciti, è stato quello di garantire agli operai un certo salario perché potessero comprarsi le automobili che la Ford produceva. Quindi: sindacalizzazione, lavoro alla catena di montaggio che aggrega moltissime persone insieme – le fabbriche fordiste sono enormi, la Fiat aveva 150.000 dipendenti all’epoca – e una certa garanzia di reddito. Lo “Stato sociale” è un’invenzione dell’epoca fordista: pensione, malattia, tutte cose che tenevano legata la classe operaia che più di tanto non protestava e stava dentro alla società dei consumi. È un modello di patto sociale che oggi si è ben che rotto.

Voi non avete quasi più lo “Stato sociale”, soprattutto lavorando come precari. Però sapete tante cose. E l’economia di oggi si alimenta di queste conoscenze e reti sociali che voi avete.

Siamo in un altro tipo di società che usa non tanto il lavoro concreto, ma il lavoro immateriale. Il lavoro delle donne in casa è tipicamente un lavoro immateriale: è il lavoro di chi sa dove mettere i calzini e il marito non sa dove sono, di chi aiuta a fare i compiti, risolve contrasti e liti… Tutto il lavoro di cura è un lavoro di tipo immateriale.

Questo tipo di lavoro è ormai standard nella società di oggi. L’intera vita di una persona è messa al lavoro e naturalmente non è pagata, come il lavoro delle donne! Perché il lavoro cognitivo non occorre pagarlo… Il tipico lavoro cognitivo è il lavoro su Internet. La rete delle reti è il paradigma di tutto questo, che però ritrovate in tutta la società.

Ecco abbiamo fatto una digressione per dire che quello che accadeva nel ‘68 per voi potrebbe essere difficilmente comprensibile, perché la società era un’altra. L’attualità del ‘68 è valida fino a un certo punto, come per noi era valida l’attualità della Resistenza. Era un altro mondo.

Ma torniamo al sapere: il nostro sapere di movimento non poteva essere quello sezionato in tre livelli di laurea del piano Gui, ma doveva essere il sapere per far crescere il movimento e per cambiare la società.

Venza

Quindi era un sapere critico e attivo…

Donini

…che doveva ribaltare i saperi dominanti.

Vi parlavo delle commissioni. Una era sul Piano Gui. Un’altra era sul lavoro e sulle fabbriche; in questa credo che abbiamo avuto incontri e scontri col sindacato.

Fra l’altro la CGIL ci aveva dato la mensa, che non è una cosa da poco… Perché quella volta non esisteva la mensa a Lettere. Noi stavamo dimostrando che stavamo gestendo l’università molto meglio di quanto la gestivano gli altri.

Eravamo in grado di gestire il sapere molto meglio, perché erano molto seri i contro-corsi e le commissioni che facevamo. Quando ho rivisto la bibliografia dei libri usati per questi contro-corsi, c’erano 50 volumi citati, che abbiamo letto, studiato e discusso, dimostrando che anche il potere poteva essere usato meglio.

C’era un lavoro culturale intenso, più il piacere di stare lì coi sacchi a pelo, la socialità. C’era anche un gruppo teatrale che ha fatto uno spettacolo…

C’era anche una commissione degli studenti medi, importantissima, perché dalla Facoltà di Lettere poi, merito suo soprattutto (riferendosi a Venza), poco tempo dopo si è avuta un’espansione a tutte le scuole superiori di Trieste, che hanno organizzato uno sciopero…

Venza

Il primo sciopero, nel dicembre del ‘68

Donini

Alla fine, dopo una quindicina di giorni, abbiamo chiuso l’occupazione. Ci avevano convinto a fare una sorta di carta rivendicativa di cui non so dir nulla, perché l’ho cancellata nel momento in cui l’abbiamo scritta! Nel senso che era la cosa che a me interessava meno.

Ogni tanto anche dei professori che erano dalla nostra parte ci chiamavano e dicevano: “Ma insomma, dovete chiedere qualcosa, dovete chiudere con qualcosa”, e noi “Ma perché? L’università è già nostra!” Se avevamo già l’università e se volevamo tutto, perché dovevamo chiedere qualcosa?

Quando abbiamo chiuso non è ricominciata subito l’attività didattica. Per 15 giorni ancora è continuata l’autogestione: c’erano molte riunioni di corso, assemblee, discussioni con tutti gli studenti, anche quelli che magari prima non c’erano, discussioni con gli insegnanti su cosa fare e ottenere.

Quando sono riprese le lezioni, era assolutamente normale che si facessero moltissimi cortei interni. Ci si prendeva in 10/15 persone, che poi naturalmente diventavano molte di più, si partiva da un’aula in cui c’era una lezione, si facevano tutte le aule, si portavano fuori tutti gli studenti dicendo: “C’è un’assemblea, c’è questo, c’è quell’altro”, oppure fermandoci in un aula a discutere. Il corteo interno serviva a sollecitare tutti gli studenti che andavano a lezione sulle tematiche antiautoritarie, sul nuovo sapere del ‘68. Quando sono cominciati gli esami, i cortei interni servivano a rivendicare il 30 garantito. Molto spesso ci si presentava in 5 o 6 tutti insieme, dicendo “noi adesso facciamo l’esame di gruppo” e loro “sì, va bene”. E si prendeva il 30 garantito, che per più della metà delle persone ha significato mangiarsi la lode. Quindi non era proprio questo vantaggio! Ma il nostro egualitarismo voleva anche questo.

Venza

Questo principio egualitario stava alla base delle assemblee e anche alla base del movimento stesso. Qualcosa che oggi è quasi impensabile. Forse tu sei una delle poche persone che ci può dire qualcosa sull’egualitarismo e contro la meritocrazia. Perché oggi invece il tema, che purtroppo gli stessi movimenti studenteschi degli ultimi anni hanno fatto proprio, è quello della meritocrazia. Questo è un grosso nodo.

Donini

È un grosso nodo, però attenzione: da voi la gerarchia c’è. Vi trovate in una situazione di grande debolezza in cui i posti sono molto pochi e non vengono dati con criterio. L’unico criterio è acquiescenza, conoscenza personale, parentela: all’università sono tornati gli aspetti che noi chiamavamo baronali. Noi eravamo forti: erano i professori che tremavano davanti a noi. Non avevamo neanche paura della polizia e dell’apparato repressivo. Ci sentivamo, in qualche modo, i padroni della società. E la società che stavamo costruendo era una società di eguali.

Io capisco il discorso che qualche volta il movimento studentesco oggi può fare sulla meritocrazia, perché probabilmente è un discorso contro l’ingiustizia. Ma è perché siete deboli (rivolta agli studenti), perché non riuscite ad esprimere un’idea della società che state costruendo, questa è una situazione psicologicamente diversa.

Venza

Ti pongo io la domanda che fa normalmente lo studente: “Ma se voi facevate gli esami di gruppo con il voto per tutti uguale, allora c’era chi studiava e chi non studiava. Quello che non studiava veniva valutato allo stesso livello di chi invece faceva degli sforzi per studiare, e questa è un’ingiustizia”.

Donini

Certo, perché oggi lo è. Nel ’68 si studiava moltissimo. Tutti leggevano. Si leggevano cose nuove, naturalmente. Ad esempio, l’istituzione faceva i programmi su Pico della Mirandola e noi invece studiavamo altro. In quel momento il problema era distruggere tutto ciò che poteva costituire un potere su di noi che stavamo facendo “altro”, che usavamo le strutture universitarie e il sapere per costruire “altro”. In una situazione in cui non c’è nessuna contestazione dei poteri e delle gerarchie, se una gerarchia dà il voto unico garantito quando nessuno lo chiede, serve solo ai furbi, a quelli che non studiano niente.

Attraverso la contestazione del voto puntavamo a unire tutto il movimento, perché la struttura selettiva era una struttura di potere che lo divideva. Per noi non c’erano i più bravi e i meno bravi: c’erano gli studenti che costruivano una nuova società. Punto.

Il ‘68 costruiva società, non costruiva potere, cioè costruiva nuovi rapporti tra le persone.

Venza

Scusa, ti interromperei per dare la parola agli studenti

Studente

Secondo me adesso ci sono sempre meno persone interessate al cambiamento. Non c’è l’energia e la volontà di cambiare le cose. In un certo senso forse per voi era più facile, perché c’erano delle cose che succedevano intorno. Ognuno aveva un’idea abbastanza chiara, a prescindere che fosse giusta o sbagliata. Ma ognuno aveva una scelta: “queste sono le cose buone, queste le cattive, ci mettiamo contro le cattive e combattiamo”. Gli studenti si riunivano e la cosa prendeva anche un’energia da sé.

Allora i cambiamenti si basavano su due ideologie, con la contrapposizione tra il marxismo-leninismo e il cattolicesimo. Adesso purtroppo a livello globale c’è l’estremismo religioso e il mondo occidentale che cerca di difendersi. Noi non siamo direttamente coinvolti nella lotta. Perché così ci viene presentata la storia di questi estremismi. Nel mondo occidentale non ci sono poi quei grandi conflitti che ci riguardano personalmente, come accadeva con voi con la guerra fredda…

Studente

Non a caso si parla di pensiero unico, infatti.

Un’altra considerazione: tutti gli studenti di oggi vengono coltivati nell’illusione o autoillusione che devono andare all’università, finire in tempo, e dopo troveranno il lavoro sicuro. “Io studio questo e troverò il lavoro buono dopo! Tu perché studi Lettere? Tanto siete una classe di disoccupati, no?” Ammesso che questa cosa sia vera, c’è una continua illusione di cui non ci rendiamo conto, quella del posto sicuro. Viviamo invece in un mondo di precarietà.

Studentessa

È come se ci si aspettasse che la spinta venga da qualche parte, da fuori…

Studente

L’anno scorso però c’è stata l’Onda… Un mese dopo, la corrente si è esaurita perché c’erano tensioni nella leadership triestina. Uno in particolare…

Venza

Un gruppo? Rappresenta qualcuno questo uno? Si pone come leader nei confronti di altri?

Studente

No, non rappresenta nessuno. Alcuni erano gli eletti nei vari organismi rappresentativi e gli altri erano quelli che si reputavano i portavoce ufficiali della corrente.

Studentessa

Sono una studente lavoratrice. Prima avevo fatto Psicologia e venendo qua a Storia ho notato una differenza. A Psicologia, come in altre facoltà, c’erano i tipici cittadini senza coscienza: lì si va per imparare un lavoro, si lavora in funzione di superare l’esame, arrivare al 30, però non c’è nessuna coscienza della valenza sociale di un lavoro come quello dello psicologo. E poi studiare Psicologia e non sapere niente di Basaglia…

Qui a Storia c’è un’altra energia. Però continuo a pensare che di base anche qui si aspetta che le cose arrivino da fuori, mentre io credo che le cose debbano arrivare da dentro. Tu devi essere arrabbiato. Credo che moralmente la rabbia debba essere sentita… Devi sapere che ha anche un prezzo…

Donini

Noi volevamo solo il nostro piacere. Che è una cosa assolutamente sovversiva! Non la carriera, il piacere! È molto importante.

Studente

Io so di rapporti molto aggressivi, quanto meno verbalmente, tra le varie parti del movimento dell’Onda, disaccordi sui mezzi… Secondo me, se c’erano dei dissidi, potevano essere condotti in modo molto più civile. Io sono andato a delle assemblee dalle quali sono scappato…. “Questa roba non la voglio più sentire – questa roba non mi riguarda”, ho detto.

In momenti precedenti alcuni elementi hanno minacciato altri…

Venza

Non è che nel ‘68 le minacce non esistessero…

Donini

Non tutti potevano partecipare al ’68. Alcuni personaggi all’università non entravano proprio. Non è vero che era una cosa del tutto ecumenica che comprendeva tutti gli studenti.

Studente

Non tutti possono fare i dirigenti e in qualche modo bisogna selezionare persone atte a svolgere certe funzioni. Parliamo di selezione di massa, perché parliamo di milioni di persone che vengono educate. Io non riesco a immaginarmi un sistema in grado di accontentare tutti. Un qualche livello di selezione deve esserci.

Donini

Quello che dicevamo nel ’68 è che il livello di apprendimento di tutti aumenta enormemente se ho una struttura cooperativa del sapere piuttosto che una struttura selettiva. Questa è una cosa ampiamente dimostrata. E io credo che valga per l’intera società. Nel senso che se voi avete presenti delle esperienze come Wikipedia o Linux… In linea di massima tutta Internet è un fattore di cooperazione sociale e oggi la conoscenza passa da Internet, più che dalle strutture scolastiche, dai media e dai libri. Questi sono grandi esempi di cooperazione cognitiva che secondo me dà molto, ma molto di più di quanto non dia la selezione, proprio sul piano dell’apprendimento generalizzato dell’intera società.

Quanto alla selezione dei dirigenti e alla selezione in genere, non avviene sulla base delle capacità effettive, ma sulla base dell’acquiescenza, cioè della capacità di stare al gioco di potere.

Studente

La cooperazione la vedo come un’idea poco praticabile…

Donini

…che viene praticata in concreto: Internet! Che oggi è il sistema produttivo su cui si basa tutto. La nostra società è tutta cooperativa.

Studente

Sì, ma Internet è un mezzo con cui si trasferisce l’informazione. Poi sulla base dell’informazione trasferita e ricevuta e sulla sua diffusione, si costruirà il sapere e altre cose. Non è Internet in sé che fonda il sapere. Sono sempre esseri umani a farlo. Internet è solo uno dei mezzi. Su questi milioni di persone coinvolte ci deve essere qualche principio organizzativo.

Donini

Sono già collegati in una rete orizzontale. Con questo non voglio dire che Internet funzioni benissimo, però è un esempio di cooperazione sociale di miliardi di persone.

Volevo ancora dire due parole sui movimenti che finiscono.

I movimenti comunque finiscono. Ma negli ultimi tempi si bruciano immediatamente. In parte questo è effettivamente dovuto alla presenza di gruppi organizzati che impediscono qualsiasi sviluppo. Per esempio sull’Onda mi raccontarono che quando c’è stato il convegno a Roma di tutte le realtà locali, è stato bloccato per due giorni da gruppi organizzati che avevano da leggere i loro documenti. Però questi gruppi, che c’erano naturalmente anche nel ‘68, riescono a bloccare tutto se già il movimento sta finendo, se no diventano quasi un vantaggio e un’elaborazione in più. Uno dei motivi perché queste cose finiscono può essere l’assoluta crisi della rappresentanza nella società. Non solo non c’è più rappresentanza della sinistra, ma la gente non si sente più rappresentata e il sistema politico non funziona più. Il ‘68 non ha avuto tante referenze politiche, però quella era ancora una struttura politica che in qualche modo poteva governare e costruire. Negli anni Settanta sono state fatte grossissime riforme in Italia. Anche i referendum… Può darsi che la sponda politica quella volta abbia garantito il non sciogliersi del movimento in pochissimo tempo. L’assenza totale di un riferimento nel quadro politico, di un qualsiasi tipo di azione di governo oggi che possa dare un qualsiasi tipo di risposta… Non c’è la politica.

Venza

Non c’è la politica, ma c’è il governo. Fa le sue leggi, le applica, le impone…

Donini

Ci sono grossi poteri economici, lobby, ecc. Il governo è molto autoritario per tenerci tutti fermi, quella è l’unica cosa che sa fare, ma mi chiedo quanto governi sulla società, sull’economia, sulle lobby… Quale referente sociale ha egemonia oggi su questa società? Io credo che non ci sia…

Venza

Il precario nei servizi.

Donini

Il precario nei servizi non trascina nessuno. Può darsi che su certi elementi si ritrovino in piazza tutti insieme, ma poi come fa il precario disarticolato a dare continuità a tutto questo? Secondo me, vale di più il discorso del territorio, oggi. Perché il luogo di lavoro o il luogo di studio sono fortemente disarticolati. È difficile costruire quello che poteva costruire l’operaio fordista di una volta. Cioè la massa sul luogo di lavoro. Però sul territorio, sì che si può. Non sono leghista, assolutamente, potete immaginare! Però la Lega ha scoperto molte cose, le ha ribaltate in modo fortemente reazionario.

Venza

Ha scoperto uno spirito comunitario

Donini

Esistono delle situazioni in cui un territorio riesce a unificarsi su un obiettivo di crescita o di difesa. E lì a costruire società. Vicenza, contro la nuova base USA del Dal Molin. La Val di Susa ha costruito società, non ha solo fatto una protesta contro il TAV. La Valle è cambiata.

Ho l’impressione che lì dove il territorio si è mosso, lì si è costruito. E che questa potrebbe essere in qualche modo una via d’uscita. Da una parte il globale, Internet, la rete che coinvolge il mondo. E da un altro lato il movimento assolutamente locale.