L’enigma delle damigelle
Gennaio 2018 | Il Ponte rosso N° 30 | Nadia Danelon | storia dell'arte
Analizzando un celebre capolavoro di Velázquez
di Nadia Danelon
Un curioso interrogativo ha accompagnato la reazione di sorpresa provata da Théophile Gautier di fronte ad uno dei maggiori capolavori dell’arte spagnola: una domanda spiazzante, vincolata a quella fedele resa prospettica concepita attraverso un sapiente studio compositivo che contraddistingue questo dipinto, uno dei maggiori capolavori del Velázquez. Lo scrittore e poeta francese ha infatti esclamato: “Dov’è il quadro?”. Diego Velázquez, pittore di corte all’epoca di Filippo IV, nel 1656 ha realizzato un enigmatico dipinto di grandi dimensioni: si tratta dell’opera divenuta famosa con il titolo Las Meninas, che va tradotto come Le damigelle d’onore, coniato solo in occasione della stesura del catalogo del Museo Nazionale del Prado (Madrazo 1843). L’opera, entrata a far parte delle collezioni museali dal 1819, è miracolosamente sopravvissuta all’incendio dell’Alcázar (1734): i danni sulla superficie del dipinto, tempestivamente restaurato, sono oggi pressoché invisibili. Come è stato fatto notare dalla critica, quella che possiamo osservare è una scena che solo a prima vista può sembrare spontanea: se non si tiene conto del personaggio all’estrema destra che scherzosamente poggia un piede sulla schiena del cane (un mastino castigliano, mansueto per natura), ogni figura è coinvolta in quel rigido meccanismo legato all’osservanza dell’etichetta di corte. Più di un elemento rompe la consuetudine tipica dei ritratti ufficiali: quello più evidente, assolutamente innovativo per un contesto di questo tipo, è l’autoritratto di Velázquez. Il pittore si raffigura con la tavolozza in mano, intento a dipingere una tela di cui possiamo osservare il retro: ma qual è il soggetto raffigurato? Il dubbio si è scatenato nel corso del tempo. Sono note due possibili ricostruzioni della scena sviluppate dalla critica, entrambe legate alle due figure riflesse dallo specchio in fondo alla stanza: vi possiamo riconoscere con facilità re Filippo IV di Spagna, accompagnato dalla moglie Marianna.
La bambina al centro della composizione del dipinto conservato al Prado è l’Infanta Margherita, figlia della coppia reale, nata nel 1651. La prima ricostruzione sembrerebbe essere coerente con la figura che, sullo sfondo, sta salendo le scale per lasciare la sala dove Velázquez sta dipingendo: si tratta di don José Nieto Velázquez, maresciallo di palazzo e forse lontano parente del pittore. Il suo ruolo è assimilabile a quello di ciambellano: se vogliamo ricostruire gli eventi secondo una cronologia plausibile nel contesto della corte, il momento immortalato dal pittore dovrebbe essere quello immediatamente successivo all’ingresso dei sovrani. Il ciambellano, incaricato di spalancare le porte al passaggio del re e della regina nonché di annunciarne l’ingresso nella sala, si sta allontanando dopo aver eseguito la sua mansione. Anzi, la sua figura racchiusa nel vano della porta allude a sua volta al concetto di quadro nel quadro (similmente allo specchio già ricordato, appeso proprio di fianco) e riscoprendo modelli veronesiani (Marini 1994). Poco prima, l’Infanta deve aver avuto sete: infatti, sulla destra, vediamo la damigella Maria Augustina de Sarmiento ancora premurosamente inginocchiata al suo fianco. Le deve aver passato la piccola brocca rossa. L’altra giovane damigella, in piedi al fianco della piccola Margherita, è Isabel de Velasco: proprio nel suo inchino, rivolto verso un punto che è lontano anche da quello in cui si trova l’ipotetico osservatore, testimonia l’ingresso improvviso della coppia reale. La nana deforme Mari-Bárbola è immobile: non rispetta il cerimoniale previsto, ma in effetti osserva lo stesso punto verso cui è inchinata la damigella. L’altro nano, che come già visto sta giocando con il cane, è Nicolasito Pertusato: inspiegabilmente, non sembra essersi reso conto della presenza in sala dei sovrani.
Se vogliamo proseguire l’analisi secondo questa sequenza logica, anche lo stesso Velázquez sembra distratto dall’ingresso del re e della regina: la sua gestualità è sospesa. Dietro, assorti nella loro discussione, troviamo Marcela de Ulloa (addetta al servizio delle dame della regina) e don Diego Ruiz de Azcona (ipotesi non del tutto condivisa: alcuni studiosi ritengono che il ruolo di questo personaggio sia quello di guardadamas). Tuttavia, come ricordato, questa non è l’unica ipotesi ritenuta plausibile dalla critica: abbiamo già evidenziato un elemento chiave, ovvero il mistero legato al soggetto della tela che Velázquez sta dipingendo. Nell’ambito di alcune pubblicazioni relative all’argomento, anche piuttosto recenti, è stata messa in evidenza la possibilità che lo specchio rifletta quello che (di fatto) è il soggetto della tela: il pittore starebbe dipingendo un ritratto della coppia reale. Secondo questa ricostruzione, la scena che possiamo osservare nell’ambito della grande tela dovrebbe quindi rappresentare una seduta di posa, atipica nella sua rappresentazione pittorica poiché priva del soggetto preso in analisi dal pittore. Può essere ritenuta verosimile l’ipotesi avanzata da un altro studioso (Crenshaw 2010) che ricorda come il mecenatismo della corte spagnola dell’epoca di Filippo IV sia focalizzato sulla figura del re: ogni cosa viene concepita per il compiacimento del monarca. Da qui nasce una terza interpretazione: secondo quanto riportato nella documentazione relativa al dipinto, sappiamo che l’opera ultimata è stata inizialmente collocata negli appartamenti privati del re. Perciò, tenendo conto del fatto che Filippo IV può essere considerato come il principale osservatore del dipinto all’epoca della sua realizzazione, quale migliore esaltazione del sovrano se non quella di poter ammirare non solo la sua idilliaca corte ma anche il suo stesso riflesso nello specchio in fondo alla stanza? Un altro elemento curioso ci parla della contestualizzazione storica della tela, si tratta della croce dipinta sull’abito di Velázquez: è un’aggiunta successiva al completamento del dipinto, riconducibile al periodo in cui il pittore è entrato a far parte dei cavalieri dell’Ordine di Santiago (1659).
Non è facile identificare con certezza l’ambiente adibito ad atelier di Velázquez: secondo quanto ricordato dalle fonti storiche, dovrebbe trattarsi di una sala vicina alle stanze assegnate all’artista in qualità di pittore di corte. Un tentativo è stato fatto, basando l’ipotesi su una pianta dell’Alcázar antecedente all’incendio del 1734: in ogni caso, non è pervenuta alcuna descrizione completa della stanza raffigurata.
Alcuni studiosi vogliono vedere in questo dipinto una sorta di allegoria della pittura, nel 1692 Luca Giordano parlando della tela ha esclamato “questa è la teologia della pittura”: interpretazioni elevate di un soggetto incerto ed emblematico, per una tela che non solo celebra l’abilità di Velázquez, ma che rappresenta anche uno spaccato della corte spagnola dell’epoca. Un fermo immagine che, in un certo senso, assomiglia davvero ad uno scatto fotografico: come osservato da Bardi nel 1969, ad essere messo a fuoco non è il primo piano (la figura del cane), ma il secondo. Al di là di qualsiasi interpretazione, viene pertanto esaltato il ruolo delle Meninas, vere e proprie protagoniste dell’opera.