Diamoci del tu
dicembre 2016 gennaio 2017 | Il Ponte rosso N° 20 | teatro | Walter Chiereghin
di Walter Chiereghin
In un clima di apparente reciproco disinteresse due adulti, uno scrittore e la sua governante, condividono per molte ore al giorno e da ventotto anni il medesimo spazio domestico senza sostanzialmente comunicare tra loro ed improvvisamente, una conversazione delle più banali, iniziata con “che ore sono?”, si trasforma in un fiume in piena di confidenze, tali da alterare per sempre nei due il reciproco avvertimento dell’altro e – presumibilmente – le modalità della loro prolungata convivenza sotto il medesimo tetto.
È tutta qui l’esile trama della commedia Diamoci del tu (titolo originale On a first name basis), testo dell’autore canadese Norm Foster, classe 1949, prolifico drammaturgo, edita nel 2012 e presentata a fine novembre di quest’anno nell’ambito della stagione di prosa della Contrada con la regia di Emanuela Giordano. La pièce è interpretata da Anna Galiena ed Enzo Decaro, due delle presenze di maggior successo del nostro cinema, accolti entrambi con favore da parte di un pubblico divertito dal godibile e fittissimo dialogo brillante tra i due personaggi, che agiscono all’interno di una scenografia (opera di Andrea Bianchi) di sobria eleganza, a rappresentare l’interno di una casa borghese attenta a celebrare se stessa per mezzo di un’eleganza composta e un tantino algida.
Lui, David, è un romanziere di un certo successo, la cui produttività letteraria è da qualche tempo spiaggiata, talmente concentrato su se stesso che a malapena ricorda il nome della sua collaboratrice domestica, Lucy, che pure regge la sua casa da ventotto anni. Innescata da una domanda banale, la conversazione prende subito una piega più articolata e complessa, soprattutto per la mancanza di banalità nelle risposte di lei all’incalzante interrogatorio cui viene sottoposta per un improvviso quanto all’apparenza immotivato risvegliarsi nel padrone di casa di un’interesse per la collaboratrice che era stato sepolto per quasi tre decenni sotto una spessa coltre di indifferenza.
Il fatto è che fin dalle prime battute di quell’inopinato dialogo, David si rende conto che la sua interlocutrice, fino allora educatamente silente, si rivela poco a poco, sotto l’incalzare delle sue domande, persona intelligente e attenta, di buona cultura, anche se scarsamente propensa a concedere quella confidenza così improvvisamente sollecitata dalle curiosità del suo datore di lavoro. Il ritrarsi della donna, tuttavia, cede frequentemente il passo al suo gusto per l’ironia, per cui svela un poco di se stessa ogni qual volta le viene offerto il fianco per una sua graffiante battuta.
Benché fittissima ed incalzante, la conversazione stenta ad andare al fondo dei due personaggi e alle loro storie parallele, per quanto queste siano vissute nella contiguità di quel rapporto di lavoro che si è snodato per ventotto anni sotto il medesimo tetto.
David non cessa di meravigliarsi nello scoprire quante cose della sua vita sono passate sotto l’acuta osservazione di Lucy e rimaste depositate nella sua memoria, protette dalla stessa incomunicabilità che, prima di quella eccezionale serata, aveva sempre connotato il rapportarsi dei due. Grazie anche a qualche bicchiere di ottimo vino, le resistenze che reciprocamente oppongono i due si smussano, senza tuttavia annullarsi del tutto, mentre si fa sempre più approfondita ed intima la conversazione e i ruoli che in essa sono assunti da ciascuno dei due si invertono ripetutamente.
Come per incanto, in quella serata memorabile per entrambi, le rispettive solitudini trovano senza essersela aspettata una luce a segnalare l’uscita da un lungo tunnel, ma non si perviene a un lieto fine da commedia americana: alla fine sembra che l’incontro non possa trovare altra plausibile conclusione che ritornare, al compimento di una trama circolare, al punto iniziale e che la vita dei due personaggi ritorni nella quotidiana monotonia del prolungato tran tran antecedente alla breve importante vicenda narrata. O forse non sarà affatto così, e anche in questa indeterminatezza risiede il fascino di questo testo che, nonostante qualche lentezza, tiene saldamente nelle mani dei due bravi interpreti, fino all’ultimo, l’attenzione divertita degli spettatori.