A VILLA MANIN CON PISTOLETTO

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di Walter Chiereghin

Sarà un evento di forte richiamo e protratto nel tempo, dal 25 maggio alla fine dell’anno, il progetto “Terza terra. Michelangelo Pistoletto e Cittadellarte a Villa Manin”, che prenderà corpo grazie alla curatela di Guido Comis, direttore di Villa Manin per l’Erpac (Ente regionale per il patrimonio culturale), e di Paolo Naldini, direttore di Fondazione Cittadellarte.

L’articolato progetto porterà nell’ex residenza dogale lo spirito autentico della cittadella, luogo di confronto di altri artisti con i temi dell’opera del maestro, occasione di dibattito sull’etica della produzione, spazio di socialità e condivisione con le realtà del territorio, che sarà realizzato grazie alla collaborazione tra Erpac e Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, un progetto voluto e finanziato dall’artista e sviluppato a partire dal 1994 all’interno di un’ex manifattura di Biella, l’ottocentesco Lanificio Trombetta, riconvertita a laboratorio creativo ed espressivo.

Di tutto quanto circonderà nei mesi a venire la mostra di Pistoletto a Villa Manin vi erano, la mattina dello scorso 24 maggio, soltanto flebili indizi, eccetto le opere di Michelangelo Pistoletto disposte in alcuni locali al pianterreno.

Mentre mi accingevo ad entrarvi, ho avuto l’insperata ventura di incontrare personalmente il Maestro, che mi ha invitato a percorrere assieme a lui le sale dell’esposizione, che anch’egli come me visitava per la prima volta.

Michelangelo Pistoletto
foto di Pierluigi Dipietro

Ovviamente non mi sono fatto ripetere l’invito, ed ho avuto così la possibilità di godere di una visita guidata di qualità assolutamente eccezionale al fianco di una guida entusiasta, di assoluta competenza e di generosa accoglienza.

Quella che doveva essere la mia recensione si è così ibridata con la narrativa nella quale confido che i testi virgolettati corrispondano al senso anche se non proprio alla lettera dei commenti e delle spiegazioni dell’artista.

Varchiamo assieme la soglia che mette in comunicazione l’ingresso dell’edificio con gli spazi dell’esposizione, eludendo una prima opera di Pistoletto, la porta – spalancata – costruita su due trapezi congiunti tra loro sulle due basi minori, che pare modellata attorno a una figura umana con gli arti divaricati. Mi viene in mente, senza azzardarmi a dirlo, l’Uomo vitruviano di Leonardo e un fuggevole pensiero mi induce a considerare come nell’arte anche molte avanzate sperimentazioni abbiano un loro antefatto risalente magari a diversi secoli prima, come pure ulteriori esiti che si manifesteranno decenni o secoli più tardi.

La prima sala è dedicata integralmente alle immagini specchianti, che sono alla base della ricerca formale, fin dai primi anni Sessanta. «Non è proprio così» precisa «avevo iniziato a dipingere e anche ad esporre parecchio tempo prima, ma certo l’interesse per fissare la mia figura in un contesto, anzi sullo sfondo di una superficie riflettente ha costituito per me una svolta. Per dar vita a un autoritratto avevo prima la necessità di utilizzare uno specchio, finché utilizzando gli sfondi riflettenti, lo specchio ha preso il posto dei fondi dei quadri. Ed allora sulla superficie è rappresentato lo spazio, ma in qualche modo anche il tempo, per il dinamismo di quanto si riflette nello sfondo, ad iniziare da chi sta guardando il quadro: non sarà l’universo, ma certo è una sua rappresentazione».

Il presente – uomo di fronte
1961, acrilico e vernice plastica su tela
200 x 150 cm
foto: Aessandro Lacisarella

Osservo che anche nelle poche opere presenti in questa prima sala è individuabile una progressione nel tempo delle tecniche esecutive e della stessa leggibilità delle opere esposte, cosa che il Maestro conferma: «Avevo iniziato già in precedenza a dipingere autoritratti con uno sfondo in argento oppure in oro, come nei dipinti antichi, ma da un lato la superficie dello sfondo non era abbastanza riflettente, dall’altro l’oro dei dipinti antichi rimandava a una visione religiosa e io non intendevo sostituirmi a un elemento religioso: dovevo fare di me stesso un elemento umano, che cercavo di cogliere nella sua complessità e in rapporto con il resto e con il tempo. Iniziai a trovare corrispondente a quanto intendevo realizzare soltanto dopo aver verniciato un fondo nero fino a farlo diventare quasi uno specchio, quello stesso specchio che prima era accanto alla tela, per consentirmi di ritrarmi sulla tela, e che così diventava invece la tela stessa. Il risultato era che io mi rappresentavo come presente in un’immagine di me fissata in un momento che immediatamente diviene passato, mentre lo sfondo specchiante rifletteva il divenire nel tempo, in una rappresentazione che è diversa in ogni momento».

Ragazza che fotografa un QR Code
2018, serigrafia su acciaio inox supermirror
250 x 125 cm
foto: Damiano Andreotti

Nelle altre opere presenti nella sala – mi spiega – sono evidenti le modifiche successive a quell’intuizione iniziale, le superfici si fanno sempre più specchianti, fino a trovare nell’acciaio inossidabile il supporto di base più adeguato, mentre la pittura dell’immagine è diventata fotografia, e quindi serigrafia, in una ricerca sempre più perfezionata e rispondente alle aspettative dell’artista. Pistoletto mi fa notare nell’opera più recente tra quelle esposte in questa straordinaria prima sezione della mostra la figura di una giovane donna che regge un cellulare col quale inquadra un QR Code che, inquadrato, consente di aprire un filmato che espande il contenuto dell’opera in una realtà “aumentata”, per la quale l’artista novantenne non riesce a nascondere un compiacimento che direi adolescenziale.

E la cosa si ripete con modalità analoghe in un’altra stanza dov’è presente un’unica opera, QR Code Possession, «Vedi: con i suoi colori è o no un quadro astratto? Un quadro che ho ottenuto per mezzo dell’intelligenza artificiale». Con ogni evidenza una febbre di ricerca che non ha alcuna intenzione di placarsi.

QR Code Possession
Il Canto della Pace Preventiva

2023, 2024
foto: Alessandro Lacisarella (particolare)

Nelle sale successive si percorre un itinerario tra opere tridimensionali, ad iniziare da L’etrusco, opera del 1976, che riproduce un bronzo del I secolo a.C. noto come L’arringatore, statua tardo etrusca di un uomo togato, Aulo Metello, ritratto in grandezza naturale nell’atto di arringare una folla, che invece Pistoletto colloca di fronte a una grande superficie specchiante, sulla quale l’unica immagine statica rimane il riflesso della scultura, organizzazione formale che anticipa – nel suo muto colloquio tra un passato remoto e fissato per sempre nel gesto e nella postura di un attimo e un presente continuamente cangiante – la Venere degli stracci, che ritroveremo nell’ultima sala e che pubblichiamo sulla copertina di questo numero.

L’etrusco
1976, bronzo 194 x 90 x 80 cm
foto: G. Canevaro

Passiamo così, sempre assieme alla mia straordinaria e impensabile guida, attraverso l’incontro con Il mappamondo, una sfera di un metro circa di diametro rivestita di collage di pubblicazioni a stampa («è una riflessione sui problemi della comunicazione; i giornali sono dell’epoca della Brexit»), inscritta in una gabbia metallica («che rappresenta meridiani e paralleli del globo terrestre»), e poi in una stanza dove quattro strutture identiche reggono due specchi rettangolari e vanno lette in sequenza, dalla prima chiusa, che non produce quindi nessuna riflessione alle altre che progressivamente si allargano, specchiando frazioni dello splendido pavimento d’epoca in un caleidoscopio di immagini che si semplifica via via che si raggiunge la massima apertura, dove le immagini riflesse sono soltanto tre e dove c’è la prova empirica che «uno più uno fa appunto tre».

Mappamondo
1966-2016
foto: Alessandro Lacisarella

La spiegazione più esaustiva di questa paradossale affermazione mi viene elargita da Pistoletto nel salone più grande del pianoterra di Villa Manin, per l’occasione trasformato in agorà per gli incontri collettivi; a delimitare lo spazio concorrono grandi striscioni che riproducono il simbolo – ormai una sorta di logo del pensiero dell’artista e della Fondazione Cittadellarte – concettualmente partendo dal simbolo dell’infinito (), aumentato però da un terzo elemento centrale, dove deve esprimersi la sintesi delle altre due polarità.

Michelangelo Pistoletto
La formula della creazione
a cura di Chiara Belliti e Ruggero Poi
Cittadellarte, Biella 2022
pp. 352, euro 22,00

«Tutto nel mondo è basato su una serie di dualità, quelle che rappresentiamo nei due cerchi esterni: io/tu, natura/artificio pace/guerra. Ma non si deve vedere in questi poli opposti una situazione statica di immobilità: essi si muovono, fino ad incontrarsi ed unirsi nel cerchio centrale, che non esisteva e che nasce proprio da questa unione, da questo contatto, da questa interazione. Questo che chiamo “Terzo paradiso” ha grandi implicazioni con la condizione umana e con quella della società e dell’ambiente in cui noi viviamo».

Ci lasciamo davanti alla sua Venere degli stracci, realizzata per la prima volta nel 1967, icona dell’Arte povera e denuncia al contempo muta e tonante di una società basata sul consumismo, ma anche tappa significativa di un pensiero anelante a un nuovo equilibrio, a un’armonia da riconquistare di un artefice che ha contrassegnato indelebilmente di sé la storia dell’arte contemporanea. E che ho avuto l’immeritato privilegio di incontrare.

Venere degli stracci a Villa Manin
1976– 2014 – cemento, smalto, stracci 190 x 240 x 140 cm